Chat Control, cosa succede con la Germania contro

Il prossimo 14 ottobre era previsto il voto al Consiglio dell’Unione europea su una proposta di legge che propone di introdurre nuove misure di sorveglianza di massa preventiva su tutte le nostre comunicazioni private nel quadro della protezione dei minori online. La cosiddetta proposta Chat Control, che ufficialmente ha il nome di Child Sexual Abuse Regulation , richiede però la maggioranza necessaria per l’approvazione e in questi giorni la Germania, che era un paese “incerto”, si è dichiarata espressamente contraria. Come riportato da Politico, la ministra della Giustizia Stefanie Hubig ha dichiarato che la Germania “non approverà” una legislazione che imponga la scansione di massa dei messaggi privati, e Jens Spahn, presidente dell’unione conservatrice Cdu/Csu ha aperto a un possibile compromesso, a condizione che “non venga messa a rischio la sicurezza e la riservatezza delle comunicazioni individuali”. Per i promotori della campagna Fight Chat Control si tratta di “un traguardo importante”, reso possibile dalla mobilitazione pubblica, ma invitano a “rimanere vigili”: il Consiglio Giustizia e Affari interni si riunirà ancora il 13 e 14 ottobre. Dobbiamo monitorare attivamente i prossimi giorni”, si legge in un loro post pubblicato su Bluesky. Cos’è Chat Control e cosa prevede Per capire questo entusiasmo da parte dei promotori, ma anche la loro richiesta di massima allerta bisogna fare un passo indietro e capire cosa prevede la proposta. Riccardo Apa, legale di Privacy Network, tra le organizzazioni italiane che hanno aderito a Fight Chat Control, spiega che è necessario tornare indietro di tre anni per capire come siamo arrivati a oggi, e perché anche se la Germania ora si è tirata indietro non è detto che non si troverà un altro modo per procedere sulla strada della sorveglianza. Nel maggio del 2022 infatti la Commissione Europea aveva presentato una proposta di regolamento per prevenire e contrastare l’abuso sessuale su minori online, con l’introduzione del concetto di “detection order”, un provvedimento che può essere imposto da un’autorità giudiziaria o da un’autorità amministrativa a un fornitore di servizi che non sia riuscito in modo efficace a eliminare il rischio di ospitare scambi di contenuti illeciti, come la pedopornografia o l'adescamento di minori. Secondo la proposta, i “detection order” dovrebbero essere adottati solo in casi mirati e come extrema ratio, non in modo generalizzato su tutto il traffico, e accompagnati da limiti e garanzie specifiche: la possibilità di richiederli solo in presenza di un “rischio significativo”, durate temporali definite, obblighi di supervisione, verifiche e l’uso di tecnologie il meno invasive possibile , insieme a procedure di tutela dei diritti degli utenti. “Il principio fondamentale è riassunto nella frase: "Visto che non sei stato in grado di prevenire il rischio, subisci la scansione automatica”, quindi il detection order obbliga la piattaforma a dotarsi di un sistema di scansione automatico e preventivo di tutto quello che passa sui suoi canali”, spiega Apa. Ma “questo approccio è considerato problematico perché impone un'intercettazione preventiva su tutti gli utenti, anche in assenza di sospetto, ribaltando il modo in cui sono regolati i rapporti tra Stato e cittadino nelle democrazie”. E soprattutto, come denunciano diverse organizzazioni, senza una definizione chiara di “rischio significativo”, questa scansione potrebbe essere applicata in modo generalizzato. Altri problemi sono di natura tecnologica, secondo Apa: “Nel sistema proposto servirebbero tre algoritmi: uno che riconosce il materiale già noto alle forze di polizia, uno che dovrebbe individuare materiale nuovo di natura pedopornografica, e un terzo che analizza le conversazioni tra utenti per capire se un adulto sta cercando di adescare un minore. Ma sono tutti sistemi estremamente difficili da far funzionare in modo affidabile”. La strada della sorveglianza, dicono le organizzazioni contrarie al provvedimento, non solo lede i diritti fondamentali di milioni di cittadini e cittadine, ma non funzionerebbe. “Ci sono studi che dimostrano che questi algoritmi producono moltissimi falsi positivi, servono capacità di calcolo enormi, con data center in grado di gestirne il consumo di risorse, e per funzionare dovrebbero indebolire la crittografia dei messaggi, mettendo a rischio la sicurezza di tutti, con un aumento delle possibilità di attacchi hacker”, continua Apa. Il sospetto è che la soluzione tecnologica così caldeggiata dall’Europol sia anche una questione di vantaggi economici per le aziende tecnologiche che dovrebbero provvedere agli strumenti necessari per mettere in atto questa sorveglianza di massa: “Quello che a noi sembra è che ci sia, per l’ennesima volta, una politica un po’ guidata dalle aziende, che a loro volta sono guidate da interessi di profitto, hanno tutto l’interesse a spingere per questo tipo di visione della sicurezza, perché vendono prodotti”, sostiene Apa. Le nuove posizioni assunte dalla Germania non cambiano comunque la questione centrale, che rimane irrisolta: è possibile proteggere i minori online senza trasformare l’intera popolazione europea in potenziali soggetti da sorvegliare? Per Privacy Network non c’è dubbio: “Sì, è possibile, puntando in primis sull'educazione digitale, sulla prevenzione e sulle indagini mirate”. Le prossime settimane ci diranno se prevarrà un approccio rispettoso dei diritti fondamentali o se, dietro nuove formulazioni di compromesso, continuerà a farsi strada la logica della sorveglianza preventiva di massa.

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