Sempre più Paesi stanno cercando di regolamentare l’accesso alle piattaforme digitali da parte dei più giovani, preoccupati per gli effetti sulla salute mentale e sullo sviluppo cognitivo. L’ultima proposta, arrivata da Copenaghen, riaccende il dibattito sul ruolo della tecnologia nella vita degli adolescenti e sulle responsabilità di governi e aziende nel proteggerli
Durante la sessione inaugurale del Parlamento danese, la premier Mette Frederiksen ha lanciato una proposta destinata a far discutere: vietare l’accesso ai social media per i minori di 15 anni. Dopo Norvegia e Australia, anche la Danimarca si inserisce così nel dibattito internazionale sull’impatto digitale sulla salute mentale dei più giovani. Secondo Frederiksen, i social e gli smartphone avrebbero causato un’impennata nei casi di ansia e depressione tra adolescenti. Parlando davanti ai parlamentari, ha dichiarato: “Abbiamo scatenato un mostro”. E ha aggiunto: “Gli smartphone e i social hanno rubato l’infanzia dei nostri figli”. Il discorso si è poi soffermato sulle difficoltà dei bambini nel mantenere la concentrazione o nell’apprendimento della lettura, complici contenuti online “che nessun giovane dovrebbe vedere”.
Il nodo della verifica dell'età
La proposta di legge, tuttavia, è ancora in fase embrionale: la premier non ha fornito dettagli su come intenda attuare il divieto né su quali piattaforme verrebbero coinvolte. L’unico elemento noto è la possibilità, per i ragazzi dai 13 anni in su, di accedere ai social solo previo consenso dei genitori. Il tema della verifica dell’età è uno dei principali ostacoli anche per altri Paesi. In Australia, per esempio, una legge simile è stata approvata nel 2024 ma non è ancora chiaro come sarà applicata, dato che le modalità proposte — come il caricamento di documenti ufficiali o l’uso del riconoscimento facciale — pongono seri problemi di privacy. Anche la Norvegia ha annunciato l’intenzione di alzare l’età minima da 13 a 15 anni, ma il primo ministro Jonas Gahr Støre aveva ammesso che sarebbe stata “una battaglia in salita”. Come in Danimarca, anche lì resta il nodo centrale: come rendere effettivo un divieto che, al momento, è difficile da far rispettare.