Festival di Internazionale a Ferrara, Chiara Nielsen: “La pace al centro”
Mondo © Francesca LeonardiLa direttrice della tre giorni di incontri, presentazioni, proiezioni, mostre e workshop racconta la XIX edizione tra attualità e spunti di lettura
Dal 1993 la rivista Internazionale cerca, seleziona e traduce storie, analisi, reportage da tutto il mondo per accendere fari su posti vicini e lontani. Raccoglie gli scatti che immortalano il presente nel suo farsi Storia, a ogni latitudine. Ci racconta come l’Italia viene vista all’estero, nel bene e nel male. Ci consiglia libri di autori fuori dai circuiti commerciali, che meritano di essere scoperti. Diciannove anni fa l’intuizione di creare un appuntamento fisso per uno spazio di incontro con giornalisti, scrittori, artisti dei cinque Continenti. Quella in corso è però un’edizione particolare, in cui l’attualità ha fatto prepotentemente irruzione. Il festival ha preso il via il 3 ottobre mentre la perla estense era teatro, come tante altre città italiane, di grandi manifestazioni pro Gaza e ha seguito il flusso degli eventi, mentre la notizia dell'apertura di Hamas al Piano Trump per il futuro della Striscia rimbalzava sulle testate internazionali, alimentando il dibattito di panel e conferenze. Ne abbiamo parlato con la direttrice del Festival, Chiara Nielsen, una delle fondatrici del settimanale.
Un primo bilancio di questo festival?
È stata un'edizione in cui l'attualità ci è corsa incontro. Ogni anno dobbiamo tentare di immaginarci che cosa accadrà. Questa volta, però, è stato diverso. Ci siamo ritrovati coinvolti in mezzo alla mobilitazione per Gaza, lo sciopero, la notizia che Hamas ha accettato di liberare gli ostaggi, quindi in un qualche modo siamo stati travolti dall'attualità. Fortunatamente il programma parlava del mondo intorno a noi ed era pronto ad accogliere le news, con degli spazi adatti per approfondire. La sfida è stata essere al passo con il presente.
Per molti anni è stata la responsabile della sezione Medio Oriente della rivista. Ha, dunque, uno sguardo attento su quest’area. Cosa non sta funzionando?
La politica ha smesso di funzionare, a partire dalle grandi istituzioni internazionali: non soltanto le Nazioni Unite che hanno negli ultimi tempi cercato di intervenire, ma penso soprattutto all’Ue che ha una voce molto flebile. Questo su un piano internazionale, ma guardando nel dettaglio dei singoli Paesi si osserva un appiattimento su spaccature manichee: innanzitutto in Israele che ha un opinione pubblica divisa. È chiaro che questo non facilita il compito di trovare delle soluzioni negoziali. Il rischio è lo stallo e la stampa ha un ruolo fondamentale in questa congiuntura. Un fenomeno che riguarda Oriente e Occidente, che attraversa Israele tanto quanto gli USA.
Uno degli obiettivi di Internazionale è quello di illuminare i luoghi più fragili della Terra e anche quelli meno noti. Come trovare un compromesso tra le notizie che monopolizzano l’attenzione e quelle che sono tutte da scoprire?
Ovviamente c’è il filo rosso dei conflitti da seguire, perché purtroppo questo è il mondo in cui viviamo, dall'Ucraina alla Russia, da Gaza al resto del Medio Oriente, ma non dimentichiamo scenari con crisi umanitarie, ma anche anche crisi di violenza, tensioni di cui si parla meno. Penso ad Haiti, penso al Sudan, a cui abbiamo dedicato degli incontri. Il solito giro a 360 gradi del mondo che Internazionale fa. Questa è la diciannovesima edizione e siamo sulla soglia di un anniversario importante e abbiamo cercato di lasciare un segno un positivo in questa fase delicatissima.
E anche il logo rispecchia questa ambizione.
Abbiamo deciso che il logo del festival di quest'anno, che è sempre un piccolo mondo declinato in attività differente, desse un messaggio di speranza: stavolta ha un fiore in mano, sembra un atto di gentilezza. Ci siamo ispirati allo slogan pacifista degli anni Sessanta durante la guerra in Vietnam: “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”, replicando una foto storica che ritrae una ragazza che porge un fiore a dei soldati schierati davanti a lei. Ecco, il messaggio che volevamo dare era, in questo mondo che sembra oramai in preda l'entropia, dobbiamo riuscire a mettere ordine nel caos.
Il Festival di Internazionale è anche luogo di incontro per scrittori e conferenze dedicati ai libri. Quali sono tre titoli che dovremmo recuperare a partire dagli spunti di questa edizione?
Citerei tre scrittrici ospiti, partendo da "Quello che non ricordiamo" (Exorma) di Christiane Hofmann che è una giornalista tedesca, ex portavoce del governo federale. in questo libro racconta il viaggio che ha fatto nel 2020 a piedi, sulle orme di suo padre, in fuga dalla Slesia alla Boemia di fronte all'avanzata dell'Armata rossa durante la Seconda Guerra Mondiale. Attraverso questo libro che ripercorre le memorie familiari, Christiane Hofmann ci racconta come è nata la nostra Europa delle frontiere. Un altro titolo interessante è sicuramente “Il frutto più raro” di Gaëlle Bélem (Edizioni e/o), un'autrice che viene dall'isola della Réunion, un'isola africana nell'Oceano Indiano. In questo libro ci racconta invece il percorso della vaniglia: come è arrivata nelle nostre cucine. È una storia lunga e abbastanza avventurosa che si intreccia con le vicende del colonialismo francese in Africa. Per finire “Memoria rossa” (Iperborea) di Tania Branigan. Branigan è un'autrice britannica che in questo libro va ad analizzare in quale modo ciò che è accaduto durante la rivoluzione culturale in Cina ha lasciato dei segni nella società di oggi. È una memoria che lo Stato cinese vorrebbe rimuovere, ma lei è andata ad intervistare delle persone che l'hanno vissuta e ne racconta le ricadute contemporanee.
E parlando delle polemiche, che accompagnano sempre i festival che sono per antonomasia terreno di incontro ma anche di scontro, la presenza di Francesca Albanese ha sollevato alcuni malumori. L’associazione Italia-Israele Scaligera Estense, su iniziativa del presidente e di alcuni attivisti, ha organizzato un piccolo presidio per rimarcare la propria contrarietà a questo invito ritenuto divisivo e unilaterale. Come risponde?
Francesca Albanese è stata nostra ospite in questa edizione del festival, e lo era già stata l'anno scorso, quando era molto meno esposta, molto meno visibile, quindi forse alcune persone non si accorsero accorte della sua presenza. Lei quest'anno, nella fattispecie, ha presentato un libro “Mentre il mondo dorme”. È chiaro che la situazione si è così polarizzata che ci si dimentica che lei è relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi occupati, quindi questo è il suo lavoro. Il suo compito è denunciare quello che succede lì. Mi sembra che troppo spesso si tenti di andare oltre quello che Albanese sta facendo e anche un po' di strumentalizzare quello che dice per portarlo oltre i confini del suo messaggio effettivo. Credo che poi la risposta è stata la partecipazione del pubblico che è accorso ad ascoltarla veramente in maniera entusiastica, quindi io credo che lei tocchi delle corde. Le cose che dice impongono una riflessione. A chi polemizza dico: stiamola a sentire e casomai chiediamole conto di quello che dice, questo sì.