Il dramma del Sudan tra guerra e frane

In Sudan, e nella sua regione più povera del Darfur, il tempo si misura in guerre e in calamità: una terra che da decenni non conosce pace e sulla quale gli eventi naturali infieriscono con accanimento. Per lungo tempo il Paese è stato ostaggio della violentissima dittatura di Omar Al Bashir; poi, nei primi anni 2000, scoppiò una guerra civile nella quale le milizie al soldo del dittatore, i Janjawid, si accanirono con i ribelli della regione del Darfur, provocando quasi un milione di morti e innescando una gigantesca crisi umanitaria. Ancora, più di recente, nel 2023 lo scoppio di un’altra guerra civile e di un’altra crisi umanitaria. La guerra civile in corso A scontrarsi in questa guerra, ancora in corso, sono due fazioni, legate ai due reggenti che, in teoria, avrebbero dovuto traghettare il Paese dal regime di Al Bashir alla democrazia: il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo delle forze armate e di fatto presidente legittimo del Paese, e il suo ex-vice, Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come "Hemedti", leader delle Forze di Intervento Rapido RSF, una specie di milizia speciale, diretta derivazione dei sanguinari Janjawid. Alla vigilia dell’indizione delle prime elezioni libere del Paese, nel 2023, i due arrivarono allo scontro e Hemdeti, che non aveva nessuna intenzione di veder sorgere una democrazia, ma al contrario aspirava a guidare un regime militare, diede il via alla rivolta, prima occupando i luoghi strategici della capitale, poi estendendo il conflitto a tutto il Paese e dando il via a una guerra civile che dura da più di due anni e che, sino a qui, ha causato almeno 150 mila morti e circa 12 milioni di sfollati. Sfollati che per lo più si sono rifugiati nella città di Port Sudan, e nei suoi dintorni. La ragione per cui in tanti hanno trovato rifugio a Port Sudan è che la città, sia per ragioni geografiche sia per ragioni militari, era considerata quasi inespugnabile. Così tanto che persino il generale al-Burhan aveva insediato lì il proprio quartier generale. I droni su Port Sudan Poi, però, nelle ultime settimane, qualcosa è cambiato. Non solo Port Sudan è stata attaccata. Ma è stata attaccata in un modo che le forze di al-Burhan non avevano nè il modo nè la capacità di prevenire e combattere: con una serie di droni suicidi. L’uso di questi droni, Bayraktar TB2, capaci di portare un ampio carico di carburante e esplosivo e dunque di poter percorrere lunghe distanze, è l’elemento che ha cambiato o potrebbe cambiare le sorti della guerra, decidendola a favore dei ribelli di Hemdeti. Questo perché al momento le forze dell’esercito regolare non sembrano in grado di contrastarli, nè sembrano dotatati della strumentazione necessaria a intercettarli e fermarli. Non solo, ma l’uso di questi droni, di fabbricazione turca ma di provenienza non chiara, potrebbe cambiare anche gli assetti internazionali che ruotano attorno a questa guerra, dal momento che non è un mistero che la Russia di Putin spalleggia i miliziani di Hemdeti, della cui vittoria si avvantaggerebbe, prendendo indirettamente il controllo di un’area strategica dell’Africa e, soprattutto, delle ingenti quantità di oro che produce. L'alluvione sui monti Marra È in questo contesto che, nelle ultime ore, una poderosa alluvione si è abbattuta sui monti Marra, nell’area del Darfur. Al di là della tragedia umanitaria - si parla di almeno 1000 morti - l’alluvione potrebbe essere foriera di nuovi sconvolgimenti politici. Perché l’area dei monti Marra è controllata da un gruppo, il Movimento per la Liberazione del Sudan , che non si è mai lasciato coinvolgere nella guerra in corso. Allo stesso tempo, però, la regione del Darfur è sotto il controllo delle RSF di Hemdeti, cui in questa fase toccherà anche la gestione, o la non gestione, degli aiuti. Aiuti che almeno in parte dovrebbero provenire dal governo centrale di al-Burhan. E che dunque, in un rimpallo di responsabilità, potrebbero perdersi per strada col rischio di non arrivare mai a destinazione.

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Luciana Grosso