Il 2 settembre 1945 il Giappone firmò la resa incondizionata. In soli 23 minuti si concluse il conflitto più cruento e sanguinoso della storia, che ha coinvolto 61 Paesi e causato oltre 60 milioni di vittime
Quattordici agosto 1945, Stati Uniti. Alle 7 di mattina, con una conferenza stampa convocata nello Studio Ovale della Casa Bianca, il presidente Harry Truman annunciò alla nazione la resa dell'esercito giapponese. L'atto ufficiale sarebbe stato firmato il successivo 2 settembre a bordo della corazzata Missouri dal generale Douglas MacArthur e dal capo di stato maggiore dell'esercito giapponese Yoshijiro Umezu, ponendo fine alla Seconda guerra mondiale, che era scoppiata il 1 settembre 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista. Il 2 settembre 1945 segnò così la fine ufficiale del conflitto con la firma della resa incondizionata del Giappone a bordo della corazzata statunitense USS Missouri nella baia di Tokyo.
Ventitré minuti per porre fine alla guerra
Il 2 settembre del 1945, dopo dopo le 9 del mattino, sul ponte di comando della corazzata statunitense Uss Missouri, ancorata nella baia di Tokyo, un piccolo tavolo separa il ministro degli Esteri giapponese Mamoru Shigemitsu dal generale Douglas MacArthur, comandante nel Pacifico sudoccidentale e comandante supremo delle potenze alleate. Sopra ci sono sei penne e l'ordine di resa che il Giappone è pronto a firmare. Alle spalle militari alleati in alta uniforme occupano le loro posizioni sul ponte. Il primo a firmare è Shigemitsu, poi è il generale Yoshijiro Umezu siglare la resa in rappresentanza dell'esercito imperiale. A seguire tocca agli Alleati: da MacArthur fino al vice maresciallo dell'aria Leonard Monk Isitt per la Nuova Zelanda. La Seconda Guerra Mondiale è ufficialmente finita. In soli 23 minuti si è concluso il conflitto più cruento e sanguinoso della storia, che ha coinvolto 61 Paesi e causato oltre 60 milioni di morti.
Un punto di svolta per il Giappone
Il Giappone, appena colpito dalle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, esce annientato. L'impero millenario si è arreso alla modernità della guerra industriale e si appresta ad accettare un'occupazione americana che durerà sette anni, durante i quali il Paese cambierà totalmente volto, scriverà una nuova Costituzione e smantellerà il militarismo. Pian piano rinascerà dal punto di vista politico, economico e sociale. La monarchia resta, ma solo come simbolo di unità del Paese, e l'imperatore Hirohito rinuncia alla sua natura divina. Nel frattempo, come a Norimberga, la resa porta conseguenze giudiziarie. Si aprono i processi di Tokyo, in vengono giudicati i crimini di guerra giapponesi. Ottant'anni dopo, la firma del 2 settembre 1945 rappresenta il punto di svolta per Tokyo. Il Giappone in meno di un secolo è infatti passato da potenza espansionistica a promotore di pace, tecnologia e cultura, e che ancora oggi conserva una delle costituzioni più pacifiste al mondo.
Commemorazioni silenziose
Per l'ottantesimo anniversario, il Paese ha scelto di commemorare la fine della guerra in modo sobrio, quasi intimo. Non grida, non accusa, ma ascolta ciò che resta delle memorie. Nessuna grande parata, nessuna cerimonia spettacolare. Un silenzio che guida anche le più alte cariche istituzionali. Fonti governative hanno fatto sapere che il ministro Shigeru Ishiba non rilascerà alcun messaggio, in rottura con quanto fatti dai suoi predecessori sul traguardo del 50esimo, 60esimo e 70esimo anniversario. Secondo Reuters, Tokyo ha chiesto ai Paesi europei e asiatici di astenersi dal partecipare alla parata militare e ad altri eventi che la Cina terrà nel mese di settembre, su tutte la cerimonia del 3 settembre in piazza Tiananmen, per commemorare quella che per Pechino rimane ancor oggi "la grande vittoria nella guerra di resistenza contro l'aggressione giapponese del 1937-1945 e nella guerra mondiale antifascista".