Perché anche nel 2024 i sondaggi Usa hanno sottovalutato Trump

Alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e del 2020 i sondaggi hanno sistematicamente sottostimato Donald Trump. Proprio per questo motivo, nel 2024 molti istituti hanno cercato di correggere il tiro, evitando di ripetere per la terza volta lo stesso errore. Tuttavia, nonostante gli sforzi, da un’analisi di Nate Silver – celebre sondaggista americano e fondatore di FiveThirtyEight – emerge come anche stavolta i sondaggi siano caduti nello stesso errore. Sondaggi migliori, ma comunque imprecisi L’analisi, effettuata a bocce ferme qualche mese dopo le elezioni presidenziali, parte da un dato storico che potrebbe far pensare altrimenti. L’errore medio dei sondaggi condotti dal 1998 in poi, relativi alle elezioni di presidente, Congresso e governatori, è stato di circa 5,9 punti percentuali, ma nel 2024 si è registrato il dato più basso da quando Silver tiene traccia della serie storica: 4,5 punti. Anche per quanto riguarda le sole elezioni presidenziali, l’errore medio di 3,4 punti è stato il secondo dato più basso degli ultimi 25 anni. Uno dei motivi di questo miglioramento dei sondaggi complessivi nel 2024 è stata tuttavia la quasi totale assenza di primarie competitive per la presidenza. In campo repubblicano, la corsa è stata dominata da Trump, con la sua principale sfidante, Nikki Haley, che si è ben presto ritirata dalla competizione. Sul fronte democratico, nessuno ha mai messo in discussione la candidatura di Joe Biden prima e di Kamala Harris poi. Un altro fattore che ha contribuito all’accuratezza dei sondaggi è stata la crescente cautela degli istituti demoscopici, che di recente tendono a evitare la pubblicazione di risultati anomali o troppo distanti dalle medie, riducendo così la presenza di “outlier” e rendendo i dati complessivi più coerenti e affidabili. Nonostante i dati complessivi appaiano incoraggianti, è importante ricordare che tuttavia i sondaggi non sono strumenti infallibili. Uno degli aspetti più problematici è il cosiddetto bias statistico, ovvero la tendenza dei sondaggi a sbagliare nella stessa direzione, sovrastimando o sottostimando uno dei due schieramenti. Questo tipo di distorsione è spesso imprevedibile e varia di volta in volta: ad esempio, nel 2012 i sondaggi sottostimarono i Democratici, mentre nel 2016 sottostimarono i Repubblicani. Generalmente, non si osserva un pattern fisso. Tuttavia, nelle ultime tre elezioni presidenziali si è registrata una tendenza chiara: come detto, i sondaggi hanno sistematicamente sottovalutato il sostegno ai Repubblicani e sovrastimato quello ai Democratici di circa 3 punti nel 2016, 4,7 nel 2020 e 2,9 nel 2024. Il fatto che il consenso intorno a Trump sia stato ancora una volta sottostimato, nonostante gli sforzi compiuti dai sondaggisti per correggere gli errori del passato, solleva interrogativi sulla persistenza di quello che Silver definisce un bias strutturale in favore dei Democratici. Analizzando le performance dei singoli istituti, emerge infatti che la maggior parte ha sovrastimato i Democratici, più che sottostimato i Repubblicani. Il caso più estremo è quello della sondaggista Ann Selzer, con un errore medio di 12,8 punti e un bias di +14,8% a favore dei Democratici, in gran parte dovuto a un sondaggio che pochi giorni prima delle elezioni fece clamore in quanto prevedeva – erroneamente – una vittoria di Kamala Harris in Iowa, Stato a maggioranza Repubblicana. Il problema sembra essere legato alla figura di Donald Trump – notoriamente difficile da misurare nei sondaggi – e dunque Silver si aspetta un miglioramento ulteriore nel 2028, quando con tutta probabilità l’attuale presidente non sarà più candidato. In caso contrario, sarà necessario individuare con maggiore precisione quali fattori strutturali stiano influenzando i risultati.

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Tommaso Prever