L’illusione del gradimento di Trump

Confrontare i sondaggi sul gradimento di governi e leader può essere più complicato rispetto a paragonare i sondaggi sulle intenzioni di voto. Anche per questo motivo è molto più raro vedere in Italia modelli e medie che stimano settimana dopo settimana l’evoluzione di questo tipo di dati. Attenzione ai confronti C’è una questione metodologica, ovvero il fatto che diversi istituti pongono la domanda con un linguaggio diverso, oppure proprio in un modo differente. Ad esempio, chiedere di dare un voto da 1 a 10 a un personaggio politico e poi contare il numero di voti sopra il 5 è diverso da chiedere semplicemente se abbiamo fiducia in lui, una domanda che prevede una risposta sì o no. Inoltre, nel comunicare i dati alcuni media e istituti demoscopici pubblicano il dato delle risposte positive, altri la differenza fra le risposte positive e quelle negative. Se ad esempio prendiamo il sondaggio di Youtrend per Sky TG24 svolto per i 1000 giorni di governo Meloni, gli stessi numeri possono essere comunicati dicendo che il 34% degli italiani promuove l’esecutivo o che il gradimento del governo è -28% . I numeri sono gli stessi, ma dal punto di vista psicologico è molto diverso. A questo si aggiunge un errore di interpretazione piuttosto comune: leggere i dati sul gradimento di un governo o di un premier come quelli delle intenzioni di voto. I primi però includono le risposte di indecisi e astenuti , mentre nei sondaggi sulle intenzioni di voto indecisi e astenuti sono eliminati dal computo. Spesso quindi il dato del gradimento del governo, come nel caso appena citato del sondaggio sui 1000 giorni di governo Meloni, è molto più basso rispetto alla somma delle intenzioni di voto dei partiti che lo sostengono. Non è facile misurare il gradimento di Trump Negli Stati Uniti il gradimento del Presidente in carica è un dato molto più importante nella narrazione del consenso di quanto non lo sia in Italia, anche perché ci sono pochi dati sulle intenzioni di voto fra un’elezione e l’altra, visto che non esistono elezioni anticipate per il Presidente e la scelta del candidato è cruciale. Durante tutto il mandato di Joe Biden si è parlato molto di più del suo gradimento basso, piuttosto che di come sarebbe finito un ipotetico confronto con un candidato repubblicano. Anche oltreoceano hanno però i loro problemi. Molti istituti elaborano medie del gradimento del Presidente, in questo caso di Donald Trump, con risultati che possono differire. Oggi, a dire il vero, i risultati sono piuttosto simili. Per Nate Silver Trump è sostenuto dal 43,5% degli elettori, per Decision Desk HQ dal 43,7%, per Strength in numbers di George Elliott Morris il 42,2%. Tutto sommato sono dati molto simili, che difficilmente potrebbero portare a un racconto mediatico diverso. Il problema arriva però quando si misurano le variazioni nel tempo, soprattutto nei giorni successivi a eventi politicamente rilevanti. Proprio George Elliott Morris ha avviato una riflessione sul tema, notando l’effetto dei sondaggi “tendenti a destra” sulle medie del gradimento. Per sondaggi “tendenti a destra” si intendono le rilevazioni condotte per organizzazioni o candidati del Partito Repubblicano o a esso vicine, che solitamente sono un po’ più favorevoli a Trump. Attenti a capire bene i trend: il caso di Los Angeles Come scrive George Elliott Morris, l’effetto di questi sondaggi sulle medie è tutto sommato abbastanza limitato, e vale un paio di punti, non abbastanza per cambiare la narrazione attorno a un Presidente non molto popolare come Trump. Ma, soprattutto ora che per motivi non chiariti il gap fra il risultato dei sondaggi di parte e quelli considerati più imparziali si è ampliato, il loro peso può essere sufficiente per orientare il racconto giornalistico quando ci sono variazioni improvvise. Per questo, scrive George Elliott Morris, bisogna tenere conto correttamente dell’effetto della partigianeria, specialmente quando ci sono pochi sondaggi di cui fare la media. L’autore cita un caso recente, in cui la presenza di pochi sondaggi aveva portato Decision Desk HQ, una fonte affidabile, a misurare un aumento del 9% del gradimento di Trump appena dopo la decisione del Presidente di intervenire duramente sulle proteste a Los Angeles, suggerendo quindi che le sue politiche fossero molto popolari. Si trattava però di un’illusione ottica dovuta al fatto, scrive G. Elliott Morris, che la metodologia di DDHQ così facendo aveva misurato i dati, non l’opinione. Pochissimi giorni dopo la media del gradimento di Trump misurata dallo stesso aggregatore è infatti tornata sui suoi livelli canonici. Una riflessione utile in generale per chi vuole capire come interpretare i sondaggi e soprattutto le medie: con cautela, guardando i trend di medio periodo e cercando di capire se i cambiamenti improvvisi siano dovuti a ragioni politiche o a mere ragioni metodologiche destinate a rientrare nel giro di pochi giorni.

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Francesco Cianfanelli