Papa Francesco e la Cina, un rapporto complesso e profondo

La morte di Papa Francesco segna un passaggio fondamentale non solo per la Chiesa cattolica ma anche per il complesso intreccio di relazioni pastorali e diplomatiche intessute dalla Santa Sede in questi dodici anni di pontificato. Tra queste, una delle più complicate è quella costruita con la Repubblica Popolare Cinese. Jorge Mario Bergoglio è morto senza vedere realizzato uno dei suoi più grandi obiettivi: visitare il grande paese asiatico e aprire una fase di piena e chiara cooperazione diplomatica con Pechino, per dare compimento a un’ambizione coltivata per anni, che non ha però mancato di suscitare polemiche e discussioni. L'attenzione alla Cina di Papa Francesco L’attenzione di Francesco alla Cina è stata alimentata da almeno tre dinamiche: innanzitutto, un tentativo della Chiesa Cattolica di strutturare delle relazioni concrete e proficue con Pechino per tutelare la Chiesa “sotterranea” e il diritto di culto dei cattolici cinesi, tema già caro a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; in secondo luogo, la spinta ecumenica e globale del suo pontificato che l’ha portato a cercare contatti con le aree di mondo tradizionalmente più distanti dai paesi occidentali; infine, la consapevolezza che l’ascesa della Cina a grande potenza globale la rendeva un interlocutore fondamentale per le strategie volte al multilateralismo e alla ricerca della pace perseguite da Francesco. Per il pontefice argentino la Cina, in virtù del suo ruolo attuale e del suo status di civiltà millenaria, era meritevole di grandi attenzioni: “la grande ricchezza della Cina odierna risiede nel guardare al futuro da un presente sostenuto dalla memoria del suo passato culturale”, disse nel 2016 all’Asia Times. A questo si aggiungeva un elemento culturale tutt’altro che secondario, dato dall’appartenenza di Bergoglio all’ordine dei Gesuiti, di cui è stato il primo esponente eletto al soglio pontificio. La sinologa Elisa Giunipero, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha scritto su Ispi che l’appartenenza di Francesco alla Compagnia di Gesù “ha suscitato ammirazione agli occhi degli intellettuali cinesi, che conoscono l’atteggiamento di rispetto della cultura cinese da parte di molti gesuiti del passato, primo tra tutti Matteo Ricci”. L'accordo sui vescovi, un'intesa in chiaroscuro Tutto questo, secondo Giunipero, ha fatto sì che se da un lato già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, predecessori di Francesco, avevano “desiderato operare per un miglioramento delle condizioni di vita dei cattolici cinesi e delle loro possibilità di agire per l’evangelizzazione”, dall’altro “solo Papa Francesco ha avuto la determinazione necessaria per giungere ad un accordo con le autorità di Pechino” come quello sulle nomine dei vescovi nel 2018 che si riproponeva di unire la Chiesa ufficiale e quella sotterranea. L’accordo è stato rinnovato tre volte, l’ultima nell’ottobre 2024 per quattro anni, invece che due come in precedenza. Sostanzialmente, l’accordo legittimava le nomine da parte di Roma dei vescovi cinesi in cambio del benestare governativo al loro insediamento, prevenendo una censura ad opera della Chiesa “patriottica” a lungo promossa in parallelo a quella clandestina dal regime di Pechino. L’apertura di Francesco alla Cina, sostanziatasi nell’accordo del 2018 e nei successivi rinnovi, ha suscitato reazioni contrastanti. Joseph Zen Ze-Kiun, vescovo emerito di Hong Kong, ha criticato quello che ha definito essere il “cedimento” del Vaticano e della Chiesa al governo di Xi Jinping, mentre la rivista specializzata in temi concernenti la libertà religiosa Bitter Winter ha presentato un bilancio in chiaroscuro. Da un lato “ai vescovi cinesi è stato permesso di partecipare agli eventi in Vaticano, incluso l'ultimo Sinodo, e che ai rappresentanti del Vaticano è stato permesso di visitare la Cina”, ma dall’altro molti critici hanno sottolineato “i riferimenti minimi e quasi impercettibili di Francesco alla repressione nello Xinjiang, alla distruzione della cultura tibetana, alla scomparsa della democrazia a Hong Kong e alla persecuzione di tutte le religioni non autorizzate in Cina”. Inoltre, Repubblica Popolare e Santa Sede continuano a non aver relazioni ufficiali perché il Vaticano dal 1942 intrattiene rapporti diretti con la Repubblica di Cina, che all’epoca governava la maggior parte del Paese e ora è confinata a Taiwan. La speranza di un rafforzamento dei rapporti Però, dopo decenni di rapporti altalenanti, la Cina ha aperto nell’era di Francesco al riconoscimento della Chiesa cattolica e del Vaticano come interlocutori preziosi. E questo è un dato di fatto che ha gettato i semi di un rapporto complesso ma destinato a durare. Non a caso Pechino ha espresso il suo cordoglio per la morte del Papa, distanziandosi molto da quando, nel 2005, alla morte di Giovanni Paolo II la Cina mantenne un atteggiamento ben più rigido concentrandosi sul protestare per la presenza del presidente taiwanese, Chen Shui-bian, ai funerali del Papa polacco. "Negli ultimi anni, la Cina e il Vaticano hanno mantenuto contatti costruttivi e hanno condotto scambi amichevoli", ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun. L’auspicio della Cina è che il successore di Francesco continui gradualmente questo processo, un dialogo tra gli eredi di culture millenarie che nel tempo della globalizzazione è al tempo stesso diplomatico, religioso e profondamente geopolitico.

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