Lampedusa e Palermo: il ricordo di papa Francesco dalla Sicilia degli "ultimi"

Dal suo primo viaggio in Sicilia, sull’ultima frontiera a sud d’Europa, Lampedusa, passando per la visita nella città del povero nata a Palermo su iniziativa di Biagio Conte e dei suoi missionari, Papa Francesco è stato da sempre a fianco degli ultimi degli ultimi. Papa Francesco scelse Lampedusa per il suo primo viaggio da Pontefice. Era l’8 luglio 2013 e sull’isola volle manifestare il dolore per i migranti morti in mare, chiedere perdono per le omissioni di soccorso e incontrare i sopravvissuti per pregare con loro. Denunciando la "globalizzazione dell'indifferenza" e invocando la "cultura dell'accoglienza" diede il via a quella linea di pensiero che ha caratterizzato tutto il suo pontificato, con la questione migratoria e la tragedia delle continue stragi nel Mediterraneo sempre nei suoi pensieri e nelle sue parole, in primo piano nei discorsi pubblici e negli ammonimenti nei confronti delle politiche migratorie che negli ultimi anni, in Italia come in Europa, puntano più a respingere che ad accogliere. Sempre a fianco degli ultimi, anche a Palermo; era il 15 settembre 2018 e Francesco aveva reso omaggio al Beato Pino Puglisi, nel venticinquesimo anniversario dalla uccisione del sacerdote del quartiere Brancaccio da parte della mafia ed era stato accolto da decine di migliaia di persone ad ascoltare le sue parole, con quella emblematica frase rimasta nel cuore di tutti: “Abbiamo bisogno di uomini d’amore, non di uomini d’onore”. A metà giornata in quel 15 settembre di sette anni fa, prima di ripartire, Francesco volle visitare la cittadella del povero della missione di Biagio Conte, una realtà che in tre diverse strutture accoglie gli ultimi degli ultimi, italiani e stranieri, uomini e donne che la società ha deciso di respingere, rifiutare, emarginare. Bergoglio aveva sentito parlare di questo luogo speciale nato in una ex caserma dismessa, donata alla missione dal Presidente Mattarella, tra i palazzoni alla periferia di Palermo dove migliaia di persone che avevano perso la speranza l’hanno ritrovata, insieme ad un tetto e ad un pasto caldo quotidiano, dove hanno imparato un mestiere e hanno ricominciato a vivere, ricambiando l’ospitalità lavorando per contribuire alla causa comune, costruire e ricostruire nuovi edifici per rendere sempre migliore questa città nella città. Negli anni, senza alcun intervento pubblico ma con le generose donazioni dei palermitani e grazie all’incessante lavoro dei volontari e degli ospiti, sono stati realizzati un dormitorio, una mensa, un laboratorio di ceramica e una falegnameria, poi una chiesa, edificata mattone dopo mattone da cristiani e musulmani che hanno lavorato insieme, abbattendo ogni barriera di cultura e religione, diventando esempio di convivenza pacifica, generosità e altruismo, impegno e integrazione. Una città nella città, un luogo dove non si chiede l’elemosina ma ci si dà da fare, dove i poveri si aiutano a vicenda, dove chi impara un mestiere lo insegna all'altro. Al Papa era giunta voce di quei missionari guidati da Biagio Conte che come San Francesco si era spogliato dei suoi averi allontanandosi dalla sua famiglia, borghese e benestante, e aveva abbracciato un’altra famiglia, diventando povero tra i poveri e quel 15 settembre del 2013 con loro aveva voluto sedersi a pranzo, in quella stessa sala mensa in cui nel giorno della sua scomparsa sono arrivati 600 pasti caldi, dono della società Palermo calcio. Biagio Conte, il fautore di questo piccolo grande miracolo non c’è più, si è spento nel gennaio del 2023. A portare avanti la Missione Speranza e carità sono i missionari guidati da Don Pino Vitrano. “Il Papa ha lasciato un segno indelebile regalandoci una gioia immensa nelle ore che ha trascorso con noi. La sua affabilità, la comunicatività, i gesti, lo sguardo, hanno fatto sì che a tutti sembrasse un fratello venuto a trovarli. Si era creato subito un clima di comunione e amore profondo, perché incarnava lo spirito di una chiesa che ama i poveri. Il Papa era l’emblema della figura dei poveri, non era uno che parlava dei poveri ma viveva come noi poveri, ogni povero per lui non era un numero ma una persona con un nome e un volto”. E mi racconta un aneddoto. “Accanto, e di fronte, a tavola, aveva un fratello dello Sri Lanka, uno tunisino e uno ghanese. A tutti chiedeva da dove arrivassero e rivolgendosi al fratello ghanese Francesco disse che in Ghana c’era stato. Francois rispose che lui, di contro, in Vaticano no, non c’era mai stato. E allora il papa si premurò, d’accordo con l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, affinché si organizzasse un viaggio per far visitare a Francois il Vaticano. E quando si salutarono, prima di lasciare Palermo, l’ultimo pensiero del Papa fu proprio rivolto a Francois; a Lorefice si raccomandò di non dimenticarsene. Avrebbe pagato lui, il Papa, il biglietto, ma a quel viaggio di Francois, ultimo tra gli ultimi, davvero ci teneva. Tra tutti gli incontri che aveva avuto, il pensiero prima di ripartire era rivolto a un povero”. “La Chiesa ha avuto un dono, in questi anni” continua Don Pino “e dobbiamo pregare perché la Chiesa di domani possa proseguire sulla strada indicata da Papa Francesco. Come quando gli apostoli si sono ritrovati senza Gesù, prima si sono sentiti persi e poi hanno imparato a camminare da soli, sulle loro gambe. Dobbiamo dare a Papa Francesco la gioia di vedere la Chiesa camminare sulle proprie gambe perché ha capito il suo messaggio: il povero sono io, sei tu, è chiunque, perché in lui c’è Cristo”.

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