Golden Visa in Europa: quali paesi Ue offrono visti in cambio di investimento?

Secondo gli ultimi dati diffusi dal Parlamento europeo, tra il 2011 e il 2019 più di 132mila persone hanno ottenuto la residenza, e in certi casi addirittura la cittadinanza, in un Paese Ue in cambio di investimenti. Così facendo hanno generato un afflusso di almeno 21 miliardi di euro. Nati in risposta alla crisi economica del 2011 come modalità per attirare grandi capitali dall’estero, sul modello dei “Golden passport” attivi in alcune isole dei Caraibi, questi programmi si sono velocemente diffusi in tutto il continente. Negli ultimi anni, tuttavia, queste iniziative hanno anche attirato l’attenzione delle istituzioni europee, secondo le quali in certi casi andrebbero contro i principi su cui si fonda l’Unione, ma anche quella di cittadini ed esperti, che ne denunciano le conseguenze sociali, economiche e abitative. Cominciamo dalla cittadinanza. Cittadinanza: i richiami della Commissione europea Fino a cinque anni fa, ottenere la cittadinanza in cambio di un investimento era legale in tre Paesi dell’Unione europea: Cipro, Malta e Bulgaria. Con il tempo, tuttavia, numerosi studi hanno evidenziato i potenziali punti deboli di queste misure. Secondo un report realizzato dall’European Parliamentary Research Service , ad esempio, queste iniziative “mercificano i diritti di cittadinanza e di residenza dell'UE, indeboliscono i sistemi di verifica e di due diligence, ponendo così rischi di corruzione, riciclaggio di denaro, minacce alla sicurezza ed evasione fiscale e minano la governance macroeconomica”. Di fronte a questi rischi, nel 2020 la Commissione europea ha avviato due procedure di infrazione, una contro Malta e l'altra contro Cipro, per eliminare questi programmi, conosciuti come CBI, per la sigla in inglese, Citizenship by Investment, o Golden passport. In parallelo, la Commissione ha anche sollecitato la cancellazione di un programma simile da parte del governo bulgaro. I motivi che hanno portato la Commissione a richiamare questi Stati sono principalmente tre: la violazione dei principi fondamentali dell'UE , le implicazioni a livello europeo dell’acquisto della cittadinanza , e l'assenza di un legame genuino tra i richiedenti e i Paesi che concedono la cittadinanza. A oggi, né Cipro, né la Bulgaria rilasciano più Golden passport, mentre il caso di Malta è in discussione alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Nel 2022, il Parlamento europeo ha approvato una relazione d'iniziativa legislativa per abolire completamente i Golden Passport entro il 2025. Residenza: permessi in 27 Paesi europei Molto più diffusi sono i programmi che permettono ai cittadini extra-Ue di ottenere permessi di residenza in cambio di investimenti in titoli di Stato, immobili, fondi di venture capital, aziende o startup. Al momento opportunità di questo tipo sono consentite in 27 Paesi del Vecchio continente. Tuttavia, anche per questa opzione non mancano i dubbi. Il Parlamento europeo, sempre nel 2022, ha chiesto di regolamentare questi sistemi chiamati tecnicamente RBI . Nello stesso periodo, la Commissione ha ha esortato i Paesi membri a sospendere immediatamente i programmi di visti d'oro per cittadini russi e bielorussi, pur mantenendo la possibilità di ingresso per ragioni umanitarie o di protezione internazionale. Da allora alcuni Paesi, come Irlanda e Paesi Bassi, hanno eliminato i loro programmi mentre altri li hanno modificati, sia in risposta all’invasione dell’Ucraina che per ridurre le loro conseguenze negative sulla società: è il caso, nello specifico, di Spagna e Portogallo che nel 2023 hanno escluso la possibilità di ottenere la residenza attraverso l'acquisto di beni immobili. In Spagna, tuttavia, la legge deve ancora essere applicata, mentre il Portogallo oggi rilascia Golden visa soltanto a imprenditori che riescano a creare almeno 10 posti di lavoro nel Paese o che siano in grado di investire almeno 500mila euro nella costituzione di una società commerciale in Portogallo. In entrambi i casi, i governi hanno riconosciuto la forte pressione esercitata dagli investitori stranieri sul mercato immobiliare delle grandi città, tra cui Lisbona, Porto, Madrid, Barcellona e Malaga. “L’idea alla base di questi programmi è che chi arriva porta soldi, ma nella realtà questi soldi si traducono quasi esclusivamente in investimenti immobiliari, senza alcun beneficio per l’economia reale. Questi capitali creano un’illusione di ricchezza, ma gli effetti collaterali sono evidenti: non generano occupazione, non producono ricchezza per altri e, spesso, gli immobili acquistati restano vuoti”, spiega Filippo Celata, professore di geografia economica all’Università La Sapienza di Roma, aggiungendo che i Golden visa diventando una forma di dumping fiscale i cui principali beneficiari sono le oligarchie di paesi come la Turchia o la Russia, “che sfruttano le nostre politiche fiscali suicide per accedere a meccanismi di elusione”. Il caso dei digital nomad Oltre alle agevolazioni per gli investitori, numerosi Paesi europei hanno all’attivo iniziative che favoriscono l’arrivo dei cosiddetti nomadi digitali, ovvero persone che lavorano da remoto e periodicamente cambiano città o nazione. Questi programmi stabiliscono però che i lavoratori soddisfino una serie di requisiti, che riguardano soprattutto lo stipendio mensile o la retribuzione annuale, oltre che alla durata del loro permesso di soggiorno e il loro profilo fiscale. “I golden visa per investitori e quelli per digital nomad sono fenomeni strettamente collegati, sia nelle motivazioni che negli effetti, anche se operano su scale diverse. Non stiamo parlando necessariamente di super-ricchi, ma di persone con buone capacità di reddito, che sfruttano il cosiddetto geoarbitraggio: guadagnano, per esempio, uno stipendio svizzero, ma vivono nel Sud Europa, dove il costo della vita è molto più basso”, spiega Celata. I Golden visa per i nomadi digitali provocano conseguenze sia a livello internazionale che locale. Da un lato, infatti, le agevolazioni fiscali di cui godono nei Paesi di arrivo comportano spesso una sottrazione di entrate ai Paesi di provenienza. Dall’altro, l’impatto dei digital nomad sul mercato immobiliare è simile a quello del turismo. “Di fatto, questi nuovi residenti vengono spesso definiti ‘turisti residenziali’ perché utilizzano la città in modo simile ai turisti tradizionali: si concentrano nelle stesse aree, contribuiscono ai processi di gentrificazione e aggravano la crisi abitativa, rendendo ancora più difficile l’accesso alla casa per i residenti locali”, afferma l’esperto. L’Italia attrae i super-ricchi L’Italia ha introdotto nel 2017 il programma "Investor Visa for Italy”, che permette ai cittadini extra UE di ottenere un permesso di soggiorno italiano investendo almeno 2 milioni di euro in titoli di Stato italiani, 500mila in azioni di una società italiana, 250mila euro in una start-up innovativa italiana o effettuando una donazione di almeno 1 milione di euro per progetti di interesse pubblico. Il permesso di soggiorno è valido inizialmente per due anni e può essere rinnovato per ulteriori tre anni. Dopo cinque anni di residenza legale in Italia, chi partecipa a questa iniziativa può chiedere un permesso di soggiorno di lungo periodo. Nonostante i Golden visa rilasciati dal governo italiano non siano legati agli investimenti immobiliari, “l’Italia è oggi una delle principali destinazioni per i super-ricchi, soprattutto dopo la riduzione dei regimi agevolati in Portogallo e nel Regno Unito. Attualmente, si stimano oltre 4.500 super-ricchi stranieri nel nostro Paese, e circa la metà di questi risiede a Milano, la città in cui si concentra anche il 50% degli investimenti immobiliari totali in Italia”, commenta Celata. Nel 2024, il governo italiano ha anche introdotto un visto per nomadi digitali al quale possono accedere lavoratori altamente qualificati che possano svolgere la loro attività da remoto e abbiano un reddito minimo annuo superiore ai 24mila euro . "In Italia, il south working è spesso presentato come uno strumento di rivitalizzazione per le aree interne, ma nella realtà le persone che lavorano da remoto tendono a privilegiare le grandi città piuttosto che i piccoli paesi. Il motivo è semplice: cercano luoghi con servizi e infrastrutture adeguate, come aeroporti e una connettività internet efficiente”, spiega l’esperto, precisando che i digital nomad sono professionisti “molto sensibili al quadro delle convenienze: la loro permanenza in un luogo dipende dalle opportunità e dai benefici che riescono a ottenere in termini di qualità della vita e accesso ai servizi”. Secondo Celata, una risposta efficace alle conseguenze negative dei Golden visa non può arrivare dalle istituzioni europee. “L’Unione Europea promuove la libera competizione nel mercato unico, ma interviene solo quando si crea concorrenza sleale, senza considerare le implicazioni sociali. Non solo: di fatto, favorisce politiche migratorie discriminatorie, accogliendo i super-ricchi ma respingendo i più poveri”, commenta Celata. Tra le pratiche su cui le istituzioni europee chiudono un occhio c’è inoltre il dumping fiscale tra Stati membri, con paesi come Irlanda e Lussemburgo che offrono tassazioni agevolate alle imprese, alimentando una competizione al ribasso e fughe di capitale. "Oggi facciamo fatica a pensare alle città dal punto di vista di chi le abita, perché le consideriamo principalmente come strumenti per generare ricchezza. Ma la soluzione è proprio nelle città dove si possono sperimentare risposte concrete”, spiega Celata, sottolineando che comunque non è raro che le decisioni dei comuni entrino in conflitto con quelle nazionali o si spingono oltre le loro competenze. “È un dibattito aperto, ma finora le soluzioni più innovative sono arrivate proprio da qui: dal livello locale”, conclude.

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