Cecilia Sala, l’Italia chiede all’Iran garanzie sulla detenzione e il rilascio immediato

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Ieri sera il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva anticipato anche la richiesta di un nuovo colloquio diretto dell'ambasciatrice Amadei con la giornalista italiana

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L'Italia ha chiesto a Teheran "garanzie totali sulle condizioni di detenzione di Cecila Sala" e la "liberazione immediata" della giornalista italiana. È quanto contenuto - secondo quanto appreso dall'ANSA - nella nota verbale che la Farnesina, attraverso l'ambasciatrice a Teheran Paola Amadei, ha consegnato al governo iraniano nell'ambito del lavoro che il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sta portando avanti con la premier Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ed il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, per arrivare ad una rapida e positiva soluzione della vicenda.

La richiesta formale al governo iraniano

Questa mattina l'ambasciatrice d'Italia a Teheran Paola Amadei ha consegnato una ulteriore richiesta formale al governo iraniano in cui l'Italia "chiede nuovamente il rilascio immediato della cittadina italiana Cecilia Sala", conferma la Farnesina. Ieri sera Tajani aveva anticipato anche la richiesta di un nuovo colloquio diretto dell'ambasciatrice Amadei con la giornalista italiana. La nota verbale consegnata oggi a Teheran contiene anche una richiesta ferma e ripetuta di chiarezza sulle condizioni di detenzione, sulla possibilità di fornire generi di conforto e sulla garanzia che questi vengano consegnati effettivamente alla cittadina italiana. "I tempi e le modalità di detenzione della cittadina italiana Cecilia Sala saranno una indicazione univoca delle reali intenzioni e dell'atteggiamento del sistema iraniano nei confronti della Repubblica italiana", fanno notare fonti della Farnesina.

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L’arresto di Cecilia Sala

La giornalista italiana è detenuta in Iran nel carcere di Evin dal 19 dicembre. Al momento le contestazioni mosse a Cecilia Sala, a cui varrà data a breve assistenza legale, appaiono generiche a conferma che l'obiettivo delle autorità iraniane sarebbe quello dello scambio con Mohammad Abedini Najafabadi, il cittadino arrestato a Malpensa il 16 dicembre scorso su richiesta degli Stati Uniti. Una vicenda complessa che porta a Milano e in particolare nelle aule della Corte d'Appello. I giudici meneghini saranno, infatti, chiamati a decidere sulla richiesta di estradizione avanzata per Abedini dagli Usa con l'accusa di terrorismo. La Corte dovrà, però, prima affrontare il nodo degli arresti domiciliari sollecitati dal 38enne attualmente detenuto nel carcere di Opera. Il suo legale, l'avvocato Alfredo de Francesco, ha depositato istanza che è ora al vaglio della Procura generale che nei prossimi giorni dovrà fornire un parere (non vincolante) alla Corte che, a sua volta, dovrà fissare una udienza entro i prossimi 10 giorni. L'avvocato nell'atto fa riferimento anche alla non sussistenza del pericolo di fuga e sul punto cita "a garanzia anche un soggetto altamente qualificato" individuando nella sede del consolato iraniano a Milano il possibile luogo dove trasferire Abedini.

Il fronte dell’estradizione di Mohammad Abedini Najafabadi

Da Opera intanto 'l'uomo dei droni', che ha saputo del caso Sala guardando la televisione in carcere, continua a professare la sua innocenza. "Io sono un accademico, uno studioso: non sono certo un terrorista - ha detto nel corso di un colloquio con il legale e il console -. Non capisco questo arresto, sono stupito". L'imputato inoltre non ha negato di essere "molto preoccupato" per la sua famiglia in Iran. Sul fronte estradizione i tempi si annunciano molto più lunghi. Il ministero della Giustizia, appena avrà ricevuto l'intero incartamento proveniente dagli Usa, avrà alcuni giorni per analizzarlo e quindi inviarlo alla Corte d'Appello che dovrà fissare anche in questo caso una udienza camerale per discutere la richiesta. Dopo la pronuncia, che per iter procedurale potrebbe arrivare a questo punto anche tra due mesi, l'ultima parola spetta al ministro Nordio. Via Arenula, per motivi politici, può infatti ribaltare il verdetto che arriverà dai giudici milanesi.

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