Le carovane dei migranti verso gli Usa preoccupano il Messico che aspetta Trump

La corsa dei migranti latinoamericani alla frontiera tra Messico e Usa prima dell’insediamento di Donald Trump continua, ma è improbabile che possa concretizzarsi entro la data del 20 gennaio. A novembre, la vittoria del tycoon repubblicano alle elezioni presidenziali Usa ha spinto alcune migliaia di profughi stanziati in Messico a mettersi in movimento per provare a raggiungere gli States in tempo per evitare di cadere sotto possibili nuove politiche restrittive del Trump 2.0. Il presidente eletto ha fatto della tolleranza zero sull’immigrazione clandestina un cavallo di battaglia della sua agenda politica e mira a organizzare l’espulsione su larga scala dei milioni di migranti irregolari risiedenti negli Usa. Per questo motivo, in diversi casi sono state segnalate vere e proprie carovane di migranti costituite con l’obiettivo di mettersi in marcia lungo gli oltre 3mila km che separano il sud del Messico dal confine con gli Stati Uniti d’America, permettendo ai profughi di viaggiare in gruppo e in sicurezza per accelerare il percorso alla frontiera. Molti migranti vogliono tentare la fortuna attraversando il confine, altri invece sperano di ottenere un visto regolarmente, tutti sono spaventati dal fatto che viaggiando da soli rischierebbero di essere vittima di attacchi da parte di gruppi armati e trafficanti di esseri umani. L’Associated Press ha sottolineato che molti migranti “temono che Trump possa eliminare l'app per cellulari CBP One che rende le richieste di asilo più ordinate” e attraverso cui “ogni giorno vengono resi disponibili circa 1.450 appuntamenti, incoraggiando i migranti a ottenere un appuntamento prima di presentarsi al confine”. La corsa dei migranti La corsa a un confine che si teme possa presto essere blindato spinge le carovane. La più grande è partita nella giornata del 2 dicembre da Tapachula, cittadina del Sud del Messico non distante dal confine col Guatemala, centro in cui si è radunato e messo in marcia un gruppo di 1.500 migranti provenienti da diversi Paesi latinoamericani: oltre ai guatemaltechi, compongono la carovana cittadini di Venezuela, Cuba, Haiti, Colombia e Honduras. L’ultima è partita dalla stessa cittadina nella regione del Chiapas nella giornata di mercoledì, composta da mille migranti e diretta a Nord. L’aumento delle carovane ha messo in allarme anche le autorità messicane. La presidente Claudia Sheinbaum intende spingere perché i flussi al confine tra Messico e Stati Uniti siano ridotti al minimo in vista dell'insediamento di Trump, sperando che la buona volontà verso il dossier della lotta all'immigrazione clandestina eviti a Città del Messico ritorsioni politiche-commerciali, soprattutto sul fronte dei dazi. Di conseguenza, la presidente progressista del Messico si è adoperata per arrestare tutte le carovane messe in piedi nell’ultimo mese prima che si avvicinassero agli Usa. Sei di esse sono state disperse a Oaxaca, una a Veracruz, molto distanti dal Rio Grande che segna il confine tra i due Paesi. Per il Messico la sfida è di ampia portata “Il Chiapas è diventato, insieme al Tabasco, lo Stato con il maggior numero di ingressi irregolari di migranti quest'anno, in totale più di 925mila persone hanno attraversato da gennaio ad agosto, secondo i dati dell'Istituto Nazionale per le Migrazioni , il 131% in più rispetto allo scorso anno”, ha sottolineato El Pais, ricordando che “più di 100.000 sono bambini e adolescenti”. La duplice pressione sul Messico Il Messico, in questa fase, preferisce trattenere sul proprio territorio molti immigrati piuttosto che subire, in prospettiva, le conseguenze e le ritorsioni politiche di Washington e mentre da un lato Sheinbaum il 18 dicembre, giornata internazionale dei migranti, ha celebrato come “eroi e eroine” i messicani che si sono fatti strada negli Usa da immigrati, dall’altro ha rivendicato l’abbattimento del 75% degli attraversamenti irregolari del confine nel 2024. La pressione sul Paese centroamericano è duplice: quella dei flussi migratori in entrata, da un lato; quella politica per non farli filtrare a Nord, dall’altro. La corsa alla frontiera dei migranti che temono stravolgimenti nelle politiche di accoglienza da parte di Trump mostra sia uno spaccato di quelle che potrebbero essere le sfide per il Paese negli anni a venire sia i timori della classe dirigente del Messico, che teme che Trump possa far propaganda alla sua agenda sulla pelle dello Stato confinante. Nel mezzo, c’è il dramma di migliaia di persone che vivono nella profonda incertezza, visti da tutti a vario titolo come una minaccia, senza che le cause strutturali dell’origine di flussi tanto consistenti di migranti siano discusse o attenzionate dalla politica.

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