La Corte d'Appello della città cinese ha vietato la canzone pro-democrazia diffusa durante le proteste del 2019. Le autorità hanno affermato che il brano, collegato alle proteste e ai disordini di 5 anni fa, è stata “erroneamente e ripetutamente presentata” come l’inno della città
La Corte d'Appello di Hong Kong ha emesso un divieto sulla canzone pro-democrazia "Glory to Hong Kong". La canzone, divenuta simbolo delle proteste del 2019 nella regione amministrativa speciale, è stata associata alle rivendicazioni democratiche e ai disordini di quegli anni. Le autorità hanno motivato il divieto sostenendo che la canzone è stata "erroneamente e ripetutamente presentata" come l'inno di Hong Kong, venendo suonata al posto dell'inno cinese in almeno 800 occasioni.
Controversie e impugnazioni
Nel luglio 2023, l'Alta Corte aveva respinto la richiesta del governo di vietare la canzone, ritenendo che ciò avrebbe avuto un "effetto agghiacciante" sulla libertà di espressione. Tuttavia, le autorità hanno contestato la decisione e presentato ricorso. In sede di appello, un avvocato del governo ha citato un'intervista del compositore della canzone, in cui definiva la canzone come un’”arma" che ha contribuito all'insorgere delle proteste.
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Origini e contenuto della canzone
"Glory to Hong Kong" è stata composta con la collaborazione di numerosi manifestanti e con il contributo di utenti del forum online LIHKG. Pubblicata su YouTube nell'agosto 2019, la canzone include lo slogan "Liberare Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi", cantato frequentemente durante le proteste. Le autorità hanno ritenuto lo slogan un'incitazione alla secessione, reato ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino, punibile con l'ergastolo.
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Reazione di Pechino
Il divieto della Corte d'Appello ha avuto una risposta immediata da parte di Pechino. Le autorità cinesi hanno definito la misura "necessaria" per salvaguardare la sicurezza nazionale e per assolvere alla responsabilità di proteggere l'integrità territoriale di Hong Kong.