Massacro di Sabra e Shatila, cosa accadde in Libano fra il 16 e il 18 settembre 1982
Dopo l’omicidio del presidente Gemayel, la vendetta dei falangisti si abbatté sui civili dei campi profughi. Il numero delle vittime, mai chiarito, oscilla fra 762 e 3.500, prevalentemente palestinesi e sciiti libanesi. L'esercito di Israele e il ministro della Difesa Sharon furono accusati di non aver fermato il massacro. Un eccidio di cui si parla in “Sangue loro - Il ragazzo mandato a uccidere”, nuovo podcast originale di Sky Italia e Sky TG24, realizzato da Chora Media e scritto da Pablo Trincia e Luca Lancise
- Sono passati più di 40 anni dal massacro nei campi profughi di Sabra e Shatila, alle porte di Beirut. Un eccidio, compiuto dalle Falangi libanesi e dall’Esercito del Libano del Sud, di un numero di civili mai del tutto definito, compreso fra 762 e 3.500, prevalentemente palestinesi e sciiti libanesi
- Quanto accadde fra il 16 e il 18 settembre 1982 rimane una delle pagine più nere del conflitto mediorientale. Da mesi il Libano viveva una forte tensione: nel Paese nel giugno 1982 erano entrate le truppe israeliane nel tentativo di espellere le milizie dell'Olp di Yasser Arafat
- La situazione precipitò il 14 settembre, quando a Beirut fu assassinato il presidente Bashir Gemayel, cristiano maronita. La vendetta dei falangisti, una formazione estremista di destra alleata dei maroniti, si abbatté sui palestinesi inermi dei campi di Sabra e Shatila
- L'eccidio fu scoperto il 18 settembre e il giorno dopo le sconvolgenti immagini dei corpi trucidati di uomini, donne e bambini fecero il giro del mondo. Accuse pesanti furono rivolte all'esercito di Israele e al ministro della Difesa Ariel Sharon per non aver fermato il massacro
- I soldati di Sharon infatti, dopo l'assassinio di Gemayel, erano entrati a Beirut ovest sostituendosi alle forze libanesi per assicurare l'ordine pubblico e presidiavano i campi palestinesi, ma non intervennero per impedire la strage
- Solo il 20 settembre le forze regolari libanesi ripresero il controllo dei campi profughi, dopo che gli israeliani avevano cominciato a ritirarsi da Beirut ovest il giorno prima. Responsabile della strage, come stabilì una Commissione d'inchiesta israeliana, fu Elie Hobeikah (nella foto), 25 anni all'epoca, divenuto in seguito deputato e ministro, ucciso a Beirut il 24 gennaio 2002 con un'autobomba
- La Commissione d'indagine indicò anche “responsabilità indirette” di Sharon che, travolto dalle polemiche, fu costretto alle dimissioni. Nel 2001 la denuncia di un gruppo di palestinesi e libanesi fece aprire un'inchiesta in Belgio contro Sharon per crimini contro l'umanità. Hobeikah si disse pronto a testimoniare al processo, ma pochi mesi dopo fu ucciso (nella foto l’autobomba). L'inchiesta belga fu archiviata e nessuno è mai stato processato
- Nel 2013 venne diffuso dagli Archivi di Stato il testo di quella che risulta essere stata una delle sedute di governo più drammatiche nella storia di Israele, quando Sharon gettò la spugna da ministro della Difesa, travolto dalle accuse della Commissione d’inchiesta sul massacro di Sabra e Shatila
- “Non ho alcuna intenzione di porgere volontariamente la mia testa su un vassoio... Che non si crei affatto l'impressione che presento le dimissioni. La mia testa è ora nelle vostre mani, la ghigliottina è nelle vostre mani: attivate dunque il paragrafo 21-a della legge (relativo al licenziamento di un ministro, ndr). Grazie tante”, disse Sharon ai suoi colleghi di governo
- Mentre i ministri di Menachem Begin (nella foto con Sharon) discutevano animatamente se accogliere o meno le raccomandazioni della Commissione, sulla collina antistante l'ufficio del primo ministro a Gerusalemme si svolgeva un'affollata manifestazione di Peace Now, che chiamava Sharon e Begin sul banco degli imputati. A interrompere il dibattito fu - d'improvviso - il segretario del premier, Azriel Nevo: una bomba a mano era stata lanciata contro i dimostranti, “ci sono un morto e tre feriti”
- Presentatosi in ritardo alla seduta, Sharon contestò le raccomandazioni della Commissione dicendo che era essenziale respingere il concetto di “responsabilità indiretta” nei massacri. “Si tratta - si difese - di affermazioni molto gravi, per Israele e per il popolo ebraico”. Sharon sostenne di fronte agli altri ministri che né il Mossad, né Aman (l'intelligence militare) né i vertici dell'esercito avevano avvertito che l'ingresso dei falangisti a Sabra e Shatila rischiava di concludersi con un eccidio
- Il titolare della Difesa rivendicò del resto di aver di fatto lasciato entrare nei due campi profughi le unità falangiste (“che fino a quel momento si erano comportate in maniera ordinata”, disse) allo scopo di risparmiare le vite di militari israeliani. Ma attorno al tavolo di governo - si apprende dai protocolli - nessuno volle assecondare la sua linea
- Secondo un testimone dell'epoca, il corrispondente militare Ron Ben Yishai, Begin a quel punto aveva maturato la sensazione di essere stato a sua volta “raggirato” dal generale-ministro durante la guerra. Il governo Begin approvò in blocco le raccomandazioni del giudice Kahan, incluso il licenziamento di Sharon, e un suo consigliere, Uri Dan, commentò profeticamente: “Chi non lo vuole oggi alla Difesa, lo avrà domani come primo ministro”