Julian Assange, concluso l'appello finale: verdetto in altra data

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Nessuna pronuncia di un verdetto a Londra. Sarà ora questione di alcuni giorni, secondo le attese. Come accaduto per l'udienza di ieri, il cofondatore di Wikileaks non era presente in aula a causa di una condizione di salute psicofisica descritta dai suoi legali come sempre più precaria, dopo 5 anni di detenzione preventiva nel  carcere londinese di Belmarsh

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Terminata all'Alta Corte di Londra la seconda e conclusiva udienza sull'appello finale della difesa di Julian Assange, giornalista australiano e cofondatore di WikiLeaks, contro la sua contestatissima procedura di estradizione dal Regno Unito negli Usa. Nessuna pronuncia di un verdetto da parte del tribunale, previsto in un'altra data  (probabilmente non prima del 5 marzo, ndr). Sarà questione di alcuni giorni secondo le attese, ma i giudici non hanno dato indicazioni precise in merito, riservandosi il tempo necessario per riflettere sulle argomentazioni contrapposte delle parti. Come accaduto per l’udienza di ieri, il cofondatore di Wikileaks non era presente in aula a causa di una condizione di salute psicofisica descritta dai suoi legali come sempre più precaria, dopo 5 anni di detenzione preventiva (in parte in isolamento) nel cupo carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh. 

La decisione

"Ci riserviamo la nostra decisione" e contatteremo le parti se avremo bisogno di ulteriori informazioni. Con queste parole la giudice Victoria Sharp ha chiuso l'udienza odierna sull'appello finale per decidere del destino di Assange. Udienza segnata da un fitto botta e risposta tra i legali dell'attivista australiano, Edward Fitzgerald e Mark Summers, e quella incaricata di rappresentare le autorità Usa, Clair Dobbin. In particolare sull'accusa rivolta agli Stati Uniti da parte della difesa di voler processare il giornalista per una questione meramente politica. Dobbin ha respinto quanto affermato dagli avvocati di Assange sostenendo che l'azione legale americana si basa "sullo stato di diritto e sulle prove", riguardanti fra l'altro l'attività del giornalista nel reclutare altri hacker e spingere gli informatori a rivelare dati riservati. In risposta, Fitzgerald e Summers, oltre ad opporsi alle argomentazioni avanzate dalla parte statunitense, hanno fatto riferimento al presunto complotto da parte Usa per uccidere o rapire il fondatore di WikiLeaks emerso sui media negli anni scorsi.

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Cosa rischia Assange

Il giornalista australiano rischia come pena massima negli Stati Uniti una condanna fino a 175 anni di reclusione per aver fatto circolare file che secondo Washington avrebbero messo a repentaglio la vita di agenti, informatori e interlocutori vari, ma che hanno contribuito a svelare crimini di guerra attributi alle forze americane, dall'Iraq all'Afghanistan. Il tutto sulla base di accuse - tanto inedite quanto contestate - di violazione dell'Espionage Act del 1917, vecchia legge mai applicata per vicende di pubblicazione mediatica di documenti. Anche oggi diversi manifestanti si sono riuniti dinanzi alla sede del tribunale. 

Cosa può succedere

L’Alta Corte di Londra oggi avrebbe dovuto pronunciarsi in secondo grado sul ricorso della difesa contro il "no" opposto in prima istanza all'ammissibilità di un estremo appello concepito per provare a fermare la macchina dell'estradizione. Con la contestazione della regolarità del via libera al trasferimento firmato due anni fa, a causa ancora in corso, da Priti Patel, allora ministra dell'Interno del governo conservatore britannico. Ma gli avvocati di Assange, Edward Fitzgerald e Mark Summers, sollevano in parallelo anche questioni di merito evocando "una persecuzione contro la legittima attività giornalistica" del loro assistito, il rifiuto di esaminare in precedenti gradi di giudizio nuovi "elementi di prova concreti" e le informazioni svelate negli ultimi anni sui piani affidati alla Cia o ad altre agenzie americane ai tempi dell'amministrazione di Donald Trump per un possibile rapimento extra giudiziale di Assange e, in caso estremo, per il suo assassinio. Con un "no" al ricorso fosse confermato, le possibilità di azione legale in seno alla giurisdizione del Regno Unito risulterebbero esaurite. Cosa che aprirebbe la strada all'estradizione dall'isola negli Usa entro un termine di 28 giorni salvo l'opzione - di dubbia efficacia, dati i precedenti - di un'istanza sospensiva d'urgenza alla Corte europea dei diritti umani da presentare entro 24 ore.

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