Uk, violenza sulle donne: la storia di Zain

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Tiziana Prezzo

Tiziana Prezzo

Il Regno Unito non ha una situazione molto diversa da quella italiana. Alla polizia arriva una chiamata legata a un abuso domestico ogni trenta secondo, ma solo una minima parte delle donne sporge denuncia. La corrispondente

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Zain è pachistana e il suo vero nome non è Zain. L’abbiamo scelto uno nuovo, prima di iniziare la nostra intervista televisiva, che non la renderà in alcun modo riconoscibile. Perché Zain ha ancora paura che qualcosa possa succedere a lei o ai suoi figli. Che sono ancora molto piccoli: questo mi farebbe pensare che si porti molto male gli anni che ha, segno che la vita non è stata gentile con lei. E infatti non lo è stata: costretta a sposare un uomo in Pakistan che non l’amava e a seguirlo in un Paese di cui non parla ancora, dopo anni, la lingua. (STOP FEMMINICIDI. LO SPECIALE)

La storia di Zain

“Qui a Birmingham aveva bisogno di una donna che tenesse pulita la casa del padre”, mi spiega con voce tremante. Shaila Pervez, dell’organizzazione non governativa Roshni, traduce per me. “Stavo zitta perché avevo paura di essere deportata in Pakistan – prosegue nel suo racconto - Mio padre si sarebbe sentito disonorato se fossi tornata. Quando ho avuto i miei figli non mi sono più sentita al sicuro. Poi mio marito ha voluto il divorzio e ne n’è andato all’estero, lasciandomi nelle mani di mio suocero che abusava di me. La polizia è stata chiamata due volte. Mi hanno dato il numero di una Ong. Volevo solo essere portata via da lì, altrimenti sarei morta”. Già prima di questa intervista, Pervez mi aveva rivelato che la donna non sa se il secondo figlio sia dell’ex marito o del padre di questi. Accettare questa gravidanza, tenere il braccio il piccolo appena nato per lei è stato tutt’altro che facile. “Pensavo che sarei morta, vittima di tutti questi abusi, ma grazie a dio sto diventando più fiduciosa. A volte penso al passato quando sono sola e mi arrabbio. Ma sto ora sto bene, grazie a Roshi. Il mio appello è a tutte le donne perché chiedano aiuto”. 

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Tante storie così

La storia di Zain, per quanto incredibile, non è rara. Se ne raccolgono tante, di storie così. Nascoste nelle case e nei vicoli dei quartieri più in difficoltà delle grandi città del Regno Unito. Donne date in moglie nei loro paesi di origine con lo scopo di fare figli e tenere pulita la casa. Sradicate, catapultate in Paesi stranieri che non conoscono, senza parlare la lingua. Il loro destino completamente in mano all’uomo che le ha sposate. La Ong che l’ha salvata si occupa di donne appartenenti a minoranze, soprattutto asiatiche: indiane, pachistane, afghane. “Molte delle donne che arrivano da noi spesso neanche si rendono conto di essere state vittime di abusi, perché vengono da Paesi dove forme di violenza sono ‘normalizzate’. Hanno già visto le loro mamme, le loro nonne, essere trattate così”, spiega Shaila. Questo aspetto rende tutto molto più pericoloso, perché la violenza potrebbe rendersi evidente solo quando è molto tardi. “Effettivamente la maggior parte di loro non arriva da noi di loro spontanea volontà, ma perché è intervenuta la polizia”, conferma. Sarebbe un errore pensare però che la violenza contro le donne riguardi solo gli strati della società più in difficoltà. Secondo dati ufficiali, in Inghilterra e Galles alle forze di polizia arriverebbe una chiamata legata a un episodio di abuso domestico ogni 30 secondi, ma solo nel 24% dei casi si arriva a regolare denuncia.

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Nokes: “Bisogna lavorare sui giovani”

Da dove bisogna partire, per combattere questi numeri? Caroline Nokes, deputata conservatrice, non ha dubbi. “Il fatto è che i giovani, maschi e femmine, devono essere educati a capire cosa sia accettabile e cosa no. Il Governo sta al momento perdendo un’occasione d’oro con la revisione dell’educazione sessuale nelle scuole. Invece che focalizzarsi su tutte le sfide aperte dai diritti dei transgender, dovrebbe preoccuparsi molto di più di come insegnare ai nostri giovani a rispettarsi vicendevolmente”, commenta. Nokes è conosciuta per non aver peli sulla lingua. Il fenomeno delle molestie avviene anche all’interno di Westminster, e lei stessa ne è stata vittima. Durante una trasmissione televisiva, ha denunciato apertamente di essere stata palpeggiata dal padre dell’ex primo ministro Boris Johnson, Stanley. Ma questi non sarebbe stato l’ultimo. C’è ancora qualcuno di cui non ho mai fatto il nome, perché troppo potente.

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Solo il 2% degli stupri arriva a condanna

Al di là della questione culturale, è il sistema di prevenzione e punizione dei reati che per Jess Phillips, deputata labour e già ministro ombra per la violenza domestica, non funziona. I casi di stupro, ad esempio, solo nel 2% dei casi arrivano a una condanna. “I servizi su cui si basa il nostro sistema di sicurezza, che si tratti della polizia, del sistema carcerario o delle misure alternative che hanno a che fare con i sex offender quando escono di prigione, sono letteralmente in ginocchio. Hanno subito tagli su tagli fino a un pericoloso punto di non ritorno”, la denuncia di Phillips.

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La “violenza economica”

Il Regno Unito è però uno dei Paesi più all’avanguardia nell’aver legiferato rispetto a un fenomeno altrove sottovalutato: quello della “violenza economica”, che rende le vittime incapaci di liberarsi del partner perché non hanno una propria indipendenza finanziaria. Di questo si occupa l’ong “Surving Economic abuse”. Spiega Sara D’Arcy, portavoce dell’organizzazione: “La violenza di carattere economico colpisce le donne con modalità diverse. Alcune possono rimanere senza averi e senza casa, a volte hanno bisogno di un aiuto per mantenere uno stipendio e un lavoro, o a restare nella loro casa. Se non hanno un’indipendenza economica, le vittime non possono fuggire o diventa più facile che tornino da chi abusa di loro”.

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