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Omicidio Kennedy, 60 anni fa l'attentato al presidente Usa a Dallas: cosa è successo

Mondo

Giacomo Cadeddu

©Getty

Il 22 novembre 1963 il 35esimo capo della Casa Bianca fu ucciso da alcuni colpi di fucile durante un corteo presidenziale nella città texana. A sparare, stabilì la Commissione Warren, fu solo un uomo: Lee Harvey Oswald, ucciso due giorni dopo da un sostenitore di Kennedy. Restano però alcune ombre sulle ricostruzioni ufficiali

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Dallas, 22 novembre 1963. John Fitzgerald Kennedy, 35esimo presidente degli Stati Uniti d’America, si trova in Texas per un viaggio ufficiale. Sta cercando di trovare fondi per la campagna presidenziale dei dem in vista delle elezioni del 1964, a cui lui stesso intende ricandidarsi. Alle 11.40 è atterrato all’aeroporto di Dallas. Poi è salito a bordo di una Lincoln Continental 1961. L’auto, una decappottabile, è quella scelta per portare il capo della Casa Bianca, la moglie Jackie Kennedy, il governatore del Texas John Connally Jr e la consorte Nellie Connally nelle tappe fissate per un corteo presidenziale in giro per la città. Alle 12.29 la Lincoln arriva in Dealey Plaza. Un minuto dopo una scarica di colpi di fucile le si riversa contro. Kennedy viene colpito al collo, alla testa e alla schiena, dicono le ricostruzioni ufficiali. Anche Connally Jr è ferito. I soccorsi li portano al Parkland Memorial Hospital. Solo il governatore texano riuscirà a sopravvivere. Sessant'anni fa, intorno alle 13, Kennedy viene dichiarato morto.

Lee Harvey Oswald

I sospetti si concentrano subito su Lee Harvey Oswald. Ex marine e attivista castrista, 24enne, era da poco rientrato in patria dall’Unione sovietica, dopo essersi allontanato dai suoi ruoli militari. Tornato negli Stati Uniti aveva trovato lavoro come impiegato al Texas Book School Depository di Dallas, edificio di sette piani davanti a Dealey Plaza. Da lì, secondo quanto fu ricostruito, aveva sparato a Kennedy con un fucile Mannlicher-Carcano. Oswald, lo stesso giorno, venne in realtà catturato per un altro omicidio. A poco più di 40 minuti dal momento in cui Kennedy fu raggiunto dagli spari, in un quartiere periferico di Dallas venne ucciso l’agente di polizia J.D Tippit, che aveva fermato Oswald perché il suo profilo era compatibile con quello che circolava sul possibile assassino del presidente. Stando a quanto stabilito, Oswald si diresse poi verso un cinema. Lì fu arrestato per l’omicidio di Tippit e fu contestualmente accusato anche di quello di Kennedy. Lui negò, affermando di essere soltanto un “capro espiatorio”. Alla luce di quanto emerso, gli si attribuì anche l’assassinio del controverso generale Edwin Walker, anticomunista e segregazionista, avvenuto il 10 aprile dello stesso anno. Dopo due giorni di interrogatori, il 24 novembre Oswald doveva essere trasportato dal quartier generale della polizia di Dallas in carcere. Nel tragitto fu ucciso da Jack Ruby, un’altra figura oscura della vicenda: proprietario di un nightlcub, grande estimatore di Kennedy, disse in seguito di aver sparato a Oswald perché così avrebbe risparmiato alla moglie dell’ormai defunto presidente di dover affrontare un doloroso processo. 

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La Commissione Warren

Il vicepresidente di Kennedy, Lyndon B. Johnson, prese subito il suo posto dopo la morte e lanciò una commissione per far luce sull’omicidio. A capo c’era il giudice della Corte Suprema Earl Warren. Il 24 settembre 1964 fu presentato a Johnson il risultato delle indagini, 888 pagine di documenti: è stato Oswald, da solo, a uccidere Kennedy, sparando tre colpi, di cui due andati a segno. Lo si è dedotto sulla base delle numerose testimonianze raccolte e sulle analisi dei proiettili ritrovati durante l’inchiesta, oltre che per le tendenze violente e anti-autoritarie di Oswald. Anche per altre indagini condotte dalle forze dell’ordine Usa lui fu l’unica persona a cui poter attribuire l’assassinio di Kennedy. 

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I dubbi e le teorie del complotto

Le voci che non credono a questa versione non si sono mai placate. Molte ricostruzioni sono però state bollate come teorie del complotto e giudicate poco attendibili. C’è chi ha sostenuto che l’omicidio ha visto la complicità di Fbi e Pentagono, in collaborazione con la mafia americana, i cubani anti Castro e anche di Lyndon Johnson. Lo scopo sarebbe stato quello di proseguire la guerra del Vietnam, a vantaggio delle gerarchie militari e dei fornitori di armi. I dubbi che continuano a circolare sono di recente stati alimentati dalla scelta di Joe Biden di ritardare, per motivi di sicurezza, la divulgazione di alcuni file – finora ancora secretati – sull’omicidio di Kennedy "per motivi di sicurezza". Non si sa cosa sia contenuto nei documenti: è poco credibile che contengano notizie bomba, ma si pensa che ci potrebbero essere i dati per risolvere alcuni punti bui. Il primo: un misterioso viaggio di sei giorni fatto da Oswald a Mexico City alcune settimane prima del delitto. Lì, si dice, incontrò spie cubane e sovietiche e finì sotto la stretta sorveglianza della Cia e dell'Fbi. Poi c’è il filone che riguarda il file '201' sulla personalità di Oswald, un faldone di 50mila pagine che sarebbero già state messe insieme quasi tre anni prima del delitto. Alone di mistero anche sulla figura di George Jaonnides, veterano della Cia che fece da collegamento tra l'agenzia di intelligence e la commissione della Camera che indagò sull'assassinio. C’è chi ha sottolineato un potenziale conflitto di interesse: durante l'amministrazione Kennedy aveva guidato le operazioni di spionaggio per rovesciare il regime di Fidel Castro, sforzo che molti storici ritengono possa essere legato all'uccisione.

Il libro dell'agente Paul Landis

In mezzo a tutto questo, soltanto lo scorso ottobre si è inserito The Last Witness, libro scritto da Paul Landis, agente dei servizi segreti che il 22 novembre 1963 aveva il compito di proteggere Jackie Kennedy. A decenni di distanza dai fatti, Landis ha rivelato di aver trovato sui sedili della macchina dove viaggiava il capo della Casa Bianca un proiettile, che poi ha deposto sulla sua barella in ospedale. La ricostruzione ha dato nuova linfa alle teorie che non credono alla Commissione Warren. Negli atti ufficiali era stato stabilito che Oswald aveva sparato tre volte. Ed erano tre in effetti i bossoli trovati al sesto piano della Texas Library dove si trovava Oswald. Un proiettile non aveva centrato l’obiettivo, un altro aveva raggiunto il presidente e un altro ancora aveva prima colpito Kennedy e poi, trapassandolo, anche Connally. Nel rapporto della Commissione Warren si parlava di un proiettile, trovato integro, sulla barella dove era stato curato il governatore texano. Non quella di Kennedy, come dice adesso Landis. La nuova ricostruzione sembrerebbe riaprire la strada alle teorie che pensano che Oswald non abbia agito da solo, perché è strano che un solo proiettile abbia potuto non solo ferire due persone insieme, ma anche uscire dai loro corpi intatto. Inoltre, l'ex agente afferma di aver trovato il proiettile sul sedile posteriore, dove era seduto Kennedy. Come può allora aver colpito anche Connally, che in auto era davanti? Landis ha detto di non credere all'ipotesi secondo cui ci fu più di una persona a sparare, ma le sue dichiarazioni hanno comunque riaperto alcune domande mai risolte.

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