Elaheh Mohammadi e Niloufar Hamedi dovranno scontare 12 e 13 anni di carcere per cooperazione con il governo ostile degli Stati Uniti. Raccontarono la storia della giovane curda morta dopo essere stata fermata dalla polizia perché non indossava correttamente il velo
In Iran, sono state condannate a vari anni di prigione le due giornaliste iraniane, da mesi in carcere per aver contribuito a rivelare al mondo il caso di Masha Amini, la giovane curda morta dopo esser stata fermata dalla polizia della morale perché non indossava correttamente il velo. Elaheh Mohammadi 36 anni, giornalista di Ham Mihan e Niloufar Hamedi 31 anni, fotografa del quotidiano Shargh sono state condannate rispettivamente a 12 e 13 anni di carcere per "cooperazione con il governo ostile" degli Stati Uniti e per altri due crimini. Le due donne sono detenute dal settembre 2022 nella prigione di Evin a Teheran -secondo i famigliari, tenute in isolamento- e i loro processi erano iniziati a maggio.
Le due reporter dovranno scontare la pena più lunga, sette anni nel caso di Hamedi e sei anni in quello di Mohammadi inoltre, per due anni non potranno lavorare per i media, affiliarsi a partiti politici e di utilizzare i social media. Il verdetto può essere impugnato entro 20 giorni.
Niloufar Hamedi fu la prima giornalista a dare la notizia dell'arresto della giovane e fu anche lei che il 16 settembre 2022 pubblicò sul suo account Twitter la foto, divenuta poi tristemente famosa, dei genitori di Masha, che si abbracciano in un corridoio deserto di un ospedale di Teheran: pochi minuti prima alla coppia era stato reso noto che la figlia era morta.
Mohammadi seguì il funerale della 22enne, dove cominciarono a essere bruciati i primi veli, un gesto di protesta che poi scatenò un movimento che scosse il Paese per mesi.
Martedì la magistratura iraniana ha anche condannato l'avvocato di Mahsa Amini a un anno di carcere per "propaganda" contro lo Stato dopo aver "parlato con i media stranieri e locali del caso", lo ha reso noto la sua difesa. La morte di Amini ha scatenato forti proteste, scomparse solo dopo una repressione che ha causato 500 morti, l'arresto di almeno 22.000 persone (decine di giornalisti) e culminata con l'esecuzione di sette manifestanti, uno dei quali in pubblico.
Il primo anniversario della morte di Amini è stato commemorato il 16 settembre in un clima di pesante repressione e un massiccio dispiegamento di forze di sicurezza. Negli ultimi mesi il governo iraniano ha cercato di reimporre l'uso del velo, con la presenza di pattuglie per le strade e l'approvazione di una legge che inasprisce le pene per chi non si copre i capelli.
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