Uk, familiari israeliani rapiti: “Stanno vivendo un secondo Olocausto"
MondoIl kibbutz di Nr Oz è stato raso al suolo. In una conferenza stampa a Londra, lo straziante racconto di un uomo e una donna che hanno ora gli anziani genitori tenuti in ostaggio a Gaza. LA CORRISPONDENTE DA LONDRA
Si può quantificare il dolore? Si possono usare i numeri per farlo? Probabilmente no. Ma quelli elencati all’inizio di una conferenza stampa oggi a Londra, per chiedere il rilascio degli israeliani rapiti e ora dentro Gaza, restituisce l’enormità di quanto accaduto in una manciata di ore.
“Mille o milleduecento israeliani sono l’equivalente di circa 40mila americani, 6935 britannici, 6673 francesi, 4894 spagnoli. Ammazzati. In un solo giorno”, ha esordito una portavoce prima di passare la parola a Noam e Sharon, un uomo e una donna che hanno scelto Londra come loro città, ma che sono cresciuti, uno acconto all’altra, insieme alle loro famiglie, nel kibbutz di Nr Oz. Una piccola realtà, quella dei kibbutzim, in cui soprattutto in passato si cresceva tutti insieme, in pieno spirito egalitario, carichi di ideali e assetati di pace. Tutto stravolto in una sola mattinata, quella del 7 ottobre scorso. (ISRAELE-HAMAS. LO SPECIALE - GLI AGGIORNAMENTI IN DIRETTA)
“Un secondo Olocausto”
“Un massacro, un secondo Olocausto – commenta davanti ai giornalisti Naom Sagi, 53 anni, psicoterapeuta che ha lavorato in passato in Germania, prendendosi cura dei sopravvissuti dell'Olocausto -. Sono stati gasati, bruciati, macellati, uccisi e rapiti. Nella maggior parte dei casi ragazzini e anziani. Hanno raso al suolo il posto. Sparato ai cani. Non hanno lasciato nulla”. Nella sala le sue parole risuonano cariche di un dolore che si fa fatica a fronteggiare. “Non dovrei essere qui oggi”, dice Noam. Sua madre, Ada, 75 anni, è tra i rapiti. “Sarei dovuto essere sulla strada per Heathrow per accoglierla, per festeggiare insieme il suo 75esimo compleanno oggi. Con la sua famiglia, qui a Londra. Sono qui a causa del male assoluto. Sono qui per chiedere aiuto perché vengano rilasciati neonati, bambini, madri e anziani”.
“Chiamateli terroristi”
Rivolgendosi a una giornalista della BBC presente in sala, fa accenno alla polemica attualmente in corso nel Regno Unito: la tv pubblica usa il termine “militanti” e non “terroristi” per descrivere Hamas, in una disperata ricerca di equilibrio che risulta sempre e comunque arbitrario. “Chiamateli terroristi, perché è quello che sono”, la sua preghiera, ma poi aggiunge: “Non c’è posto per la politica. Questa – riferendosi agli abitanti dei Kibbutzim - è gente innamorata della pace, che ha combattuto tutta la vita per la coesistenza e per buone relazioni tra vicini. Persone che sono sopravvissute all’Olocausto, si sono ritrovate ad affrontarne un altro”.
Alcuni kibbutzim sterminati all’80%
I numeri dicono che alcuni dei Kibbutz sono stati sterminati all’80%. Nel restante 20% si contano i rapiti e i dispersi. “Qui non si tratta di stabilire chi ha ragione e chi torto. Mio padre ha trascorso la sua vita combattendo per la pace. Io sono sua figlia, siamo tutti suoi figli quando chiediamo la pace. Chiediamo di vedere l’umanità in ciascuno di noi”, spiega Sharon Lifschitz, 52 anni, figlia di due pacifisti. Entrambi i genitori, di 85 e 83 anni, sono ora a Gaza. “Mio padre ha molti amici arabi. Io stessa ho molti amici musulmani, cristiani, buddisti, induisti. Non faccio differenze. Riuniamoci, portiamo un po’ di speranza, facciamo tornare questi bambini a casa”. In entrambi, il bisogno di credere ancora nel bene, nel buono. Il bisogno di non rinunciare alla speranza.