Kosovo, allarme degli Usa: "Serbia sta ammassando truppe al confine". Cosa sta succedendo

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Resta altissima la tensione tra i due Paesi dopo gli scontri del 24 settembre, quando a Banjska - nel Kosovo del Nord - sono stati uccisi tre uomini armati serbi e un poliziotto kosovaro. La Casa Bianca parla di un dispiegamento "senza precedenti" di artiglieria, carri armati e unità di fanteria da parte di Belgrado. Intanto, la Nato ha annunciato il rafforzamento dell'operazione Kfor

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L’allarme arriva dagli Stati Uniti: la Serbia starebbe ammassando truppe al confine con il Kosovo. Le relazioni tra i due Paesi balcanici sono sempre più tese dopo gli scontri della scorsa settimana, quando a Banjska, nel Kosovo del nord, è morto un poliziotto kosovaro e sono stati uccisi tre uomini serbi. E mentre Pristina e Belgrado si accusano a vicenda per la nuova escalation di violenza, sembrano sempre più lontane le possibilità di successo del dialogo sostenuto a gran voce da Bruxelles e dalla comunità internazionale. In risposta all'attacco armato della settimana scorsa, la Nato ha intanto deciso di inviare più truppe per la missione Kfor in Kosovo "per far fronte alla situazione attuale", dopo aver già rafforzato la sua presenza lo scorso maggio. A rafforzare le file delle truppe Nato potrebbero essere, "se necessario", militari britannici: la Difesa di Londra ha messo a disposizione della Kfor un battaglione tra i 500 e i 650 soldati.

Cosa è successo

Domenica 24 settembre un gruppo di uomini armati di etnia serba – che nel Kosovo del Nord è la maggioranza - aveva teso un'imboscata alla polizia kosovara per poi nascondersi in un monastero ortodosso vicino al confine con la Serbia. Tre degli uomini sono poi stati uccisi, altri sono stati arrestati e sono state sequestrate centinaia di armi. Nello stesso scontro ha perso la vita un poliziotto kosovaro: Pristina accusa i serbi di averlo ucciso, Belgrado sostiene che l’uomo non sarebbe stato raggiunto da colpi d'arma da fuoco sparati dai serbi ma sarebbe morto a causa di un'esplosione. 

L’operazione della polizia kosovara

Nell’ambito delle indagini su quanto successo a Banjska, venerdì 29 settembre la polizia kosovara ha portato avanti una grande operazione di controllo e ricerca nel nord del Paese. A essere interessati sono stati in particolare cinque siti in tre municipalità: il settore nord (serbo) di Kosovska Mitrovica, Zvecan e Zubin Potok. Durante i controlli sono stati perquisiti diversi negozi e abitazioni private. Tra queste anche quella di Milan Radojcic, vicepresidente di Srpska Lista, il maggior partito della comunità serba in Kosovo, che il 24 settembre aveva preso parte agli scontri armati. Belgrado ha attaccato Pristina per l’operazione, accusando gli agenti kosovari di essere intervenuti con violenza, con l’uso di armi e con l'appoggio di mezzi blindati. L'Ufficio serbo per il Kosovo ha quindi definito la mossa di Pristina come una "brutale ed eccessiva dimostrazione di forza" e un metodo per “sfruttare” quanto successo a Banjska come "pretesto per proseguire nella sua politica di terrore" contro i serbi nel nord.

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La denuncia degli Stati Uniti

La Casa Bianca ha poi denunciato una presenza militare serba "senza precedenti" sul confine con il Kosovo. "Stiamo monitorando un ampio dispiegamento militare serbo sul confine con il Kosovo, che comprende un posizionamento senza precedenti di artiglieria avanzata, tank ed unità di fanteria meccanizzata", ha detto il portavoce del Consiglio nazionale di Sicurezza della Casa Bianca, John Kirby. Washington ha poi chiesto a Belgrado di ritirare le proprie forze dal confine. Intanto. il segretario di Stato, Antony Blinken, ha parlato al presidente serbo, Aleksandar Vučić, chiedendo "l'immediata de-escalation" e il ritorno all'accordo precedente per normalizzare le relazioni con il Kosovo. 

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