Jenin, iniziato il ritiro delle forze israeliane dal campo profughi

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Oltre 3mila persone hanno abbandonato il campo profughi dopo il blitz di Israele che ha causato almeno 11 morti. Si stanno prendendo accordi per ospitarle in scuole e altri rifugi nella città

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Nella serata del 4 luglio è iniziato il ritiro delle forze armate israeliane dal campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, come riferiscono diversi media israeliani. Nelle ore precedenti circa 3mila palestinesi avevano lasciato il campo profughi dopo l'operazione militare lanciata da Israele negli scorsi giorni. La notizia era stata confermata dal vice governatore locale, Kamal Abu al-Roub, che aveva aggiunto come si stessero già prendendo accordi per ospitare chi era uscito dal campo in scuole e altri rifugi nella città. Nel campo vivevano circa 18mila persone. Il leader palestinese Abu Mazen ha chiesto all'Onu e alla comunità internazionale "di intervenire con urgenza per costringere Israele a fermare l'evacuazione degli abitanti". "Un crimine" che si "aggiunge ai crimini dell'occupazione". È stato inoltre deciso "di fermare tutti i contatti e gli incontri con Israele e di continuare a interrompere il coordinamento della sicurezza". Da parte sua, l'esercito israeliano ha negato con forza di aver ordinato ai residenti l'abbandono del luogo ed ha definito la notizia "senza basi".

Il raid di Israele a Jenin

Ieri Israele ha lanciato a Jenin la maggiore operazione militare su larga scala da almeno 20 anni in Cisgiordania. Un attacco via aria e via terra "contro i focolai del terrore" - come ha detto il ministro della Difesa Yoav Gallant - che ha causato l'uccisione di almeno 11 palestinesi e il ferimento di un centinaio di persone, tra cui almeno 20 gravi, secondo un bilancio ancora provvisorio. "Un nuovo crimine di guerra", ha detto Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente Abu Mazen, compiuto dal "governo di occupazione israeliano" contro "il nostro popolo indifeso". Lo stesso Abu Mazen, mentre Hamas e la Jihad islamica minacciano vendetta, ha convocato una riunione urgente dell'Autorità nazionale palestinese e Giordania ed Egitto hanno condannato il raid israeliano. L'operazione è cominciata nella notte tra domenica e lunedì quando velivoli israeliani hanno preso di mira "un centro operativo di comando unificato" nel campo profughi della città che serviva, secondo la versione dell'esercito, anche come nascondiglio di armi e esplosivi oltre che come "hub di coordinamento e comunicazione tra i terroristi". Quasi in contemporanea nel campo profughi sono entrati via terra almeno mille soldati e sono cominciati gli scontri con i miliziani.

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Cosa è successo

L'obiettivo delle truppe è stato quello di requisire armi e scoprire depositi segreti nel campo profughi: bulldozer hanno raschiato le strade nel timore che fossero stati piazzati ordigni esplosivi. In parti della città è stata interrotta l'erogazione della corrente elettrica. Durante la giornata altri scontri a fuoco si sono verificati attorno alla moschea del campo profughi dove "si erano asserragliati uomini armati" e dove sono state scoperte due cavità "con esplosivi, armi ed equipaggiamento militare", ha detto il portavoce militare, aggiungendo che "un velivolo ha colpito nei pressi per rimuovere la minaccia". La stessa fonte ha poi spiegato che è stato rinvenuto in un'altra parte del campo profughi "un laboratorio per la produzione di esplosivi con centinaia di ordigni già pronti all'uso". In tutto sono stati circa 300 gli ordigni esplosivi fatti brillare. L'attacco a Jenin sarebbe stato programmato dieci giorni fa dopo l'uccisione di quattro israeliani in Cisgiordania ma anche dopo l'ordigno esplosivo piazzato lo scorso 19 giugno sotto un veicolo militare israeliano nella stessa Jenin e il lancio di due razzi dalla Cisgiordania verso Israele (sebbene ricaduti in territorio palestinese). Un'escalation vista in Israele con preoccupazione. Israele ha fatto sapere di aver avvisato prima dell'attacco a Jenin sia gli Usa sia la stessa Anp, che in città ha un debolissimo controllo della situazione. Tuttavia la presidenza palestinese ha denunciato che così "la sicurezza e la stabilità non saranno raggiunte nella regione".

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