Egitto, l'app LGBT Grindr mette in guardia contro i profili falsi gestiti dalla polizia

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Federica De Lillis

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Un giovane appartenente alla comunità LGBT racconta con terrore l'intensificarsi degli abusi contro le persone queer in Egitto: "Il silenzio mi ucciderebbe molto più velocemente di quanto non possano fare loro"

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Per alcuni, in Egitto, conoscere una persona online e accettare di incontrarla in un bar può portare a trascorrere mesi, se non anni, in prigione.  Come riporta l’organizzazione internazionale Human Rights Watch, da alcuni anni, le autorità egiziane hanno iniziato a utilizzare social media e piattaforme di incontri, come la dating app LGBT Grindr, per individuare e arrestare persone queer.  “Da almeno un anno Grindr manda una notifica con cui avverte sui rischi che corrono gli utenti utilizzando l’app. Negli ultimi mesi, però, il warning si è fatto più terrificante e dettagliato: illustra le tecniche usate dalle autorità del Paese per rintracciarci” racconta a Sky TG24 Wessam, una giovane persona non-binary, il cui nome reale non può essere utilizzato per ragioni di sicurezza. “La polizia ruba foto di altri utenti per creare profili falsi da usare per chattare con persone queer sulla piattaforma. Parlano un po’ e poi organizzano un incontro: è una trappola per arrestarli/e”. 

Una pratica consolidata 

In un report del 2020, Human Rights Watch ha riscontrato la presenza di un preciso schema seguito dalle autorità egiziane che sfrutterebbero la profilazione attraverso le piattaforme social. “Gli arrestati hanno detto che gli agenti di polizia, incapaci di trovare informazioni durante la ricerca sui loro telefoni al momento dell'arresto, scaricavano app LGBT di incontri sui loro telefoni e caricavano foto pornografiche per giustificare la detenzione”. Secondo l’organizzazione, si tratterebbe di una “politica coordinata dal governo egiziano, sia online sia offline, per perseguitare le persone della comunità LGBT”.  È quanto conferma anche Afsaneh Rigot, che da anni analizza la situazione in Medio Oriente e Nord Africa: “Stiamo assistendo a una situazione in cui la prova digitale diventa il principale ingrediente in queste persecuzioni discriminatorie. Le prove digitali - soprattutto [sui] cellulari delle persone - sono ora la scena del crimine”.  “Siamo tutte e tutti spaventati che la polizia ci fermi per strada e ci chieda di mostrare i nostri telefoni” racconta Wessam. Un messaggio, una foto, un’applicazione, qualsiasi cosa può essere presa come un pretesto per essere portati in carcere. “Potrebbe succedere che un agente di polizia mi contatti su Grindr e, fingendosi un utente vero, mi chieda di vederci. Verrei probabilmente portato in prigione per essere poi torturato o stuprato. So che lo fanno per costringerti a firmare un documento in cui ammetti di essere omosessuale, di prostituirti e di cospirare per spingere altri a mettere in atto atti immorali che vanno contro i principi della società egiziana. Alcune volte anche gli avvocati che ti vengono assegnati per difenderti, in realtà provano a ingannarti”. 

Le relazioni omosessuali non sono illegali in Egitto

Non esiste nel Paese una legge che criminalizzi esplicitamente le relazioni omossessuali. Nonostante questo, nell’ordinamento egiziano sono presenti diverse norme che puniscono atti di “pubblica indecenza”, “incitazione alla dissolutezza” e il possesso o la distribuzione di materiale volto a violare la “morale pubblica”. Non viene mai spiegato quali atti corrispondano a “indecenza pubblica” o “dissolutezza”. Queste norme vengono spesso usate per giustificare atti discriminatori e sproporzionati contro i membri della comunità LGBT. 

Gli arresti e le detenzioni arbitrarie, inoltre, non sono solo l’esito di una studiata attività delle forze dell’ordine. “Ci sono persone che lo fanno così, per divertimento”, spiega Mina, attivista di un’importante organizzazione che si batte per i diritti delle persone queer in Egitto (Anche in questo caso, il vero nome di Mina e dell’organizzazione non possono essere divulgati per motivi di sicurezza). Una realtà confermata anche da Wessam. “Ci sono gang che si sono organizzate per contattarti su Grindr, chiederti un incontro e poi derubarti. Alcune volte forzano la gente a spogliarsi e la filmano per poi ricattarla. In questo modo, nessuno andrà a sporgere denuncia: farlo vorrebbe dire venire arrestati perché omossessuali”.  

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Più di 25 persone arrestate in una notte 

“Alla vigilia di Capodanno, più di 25 persone sono state arrestate nei pressi di Giza e ora sono ancora in carcere senza che siano state presentate accuse formali” racconta Mina. “Allo stesso tempo altre 3 sono state arrestate in una città a tre ore da Il Cairo. Uno di loro è andato in panico e, secondo la versione ufficiale, si è buttato dalla finestra ed è morto. Ci sembrava strano, a Ras El-Bar i palazzi hanno solo tre piani in genere. Abbiamo chiesto alla famiglia e ci ha detto che sul corpo aveva diversi lividi come se lo avessero picchiato”. 

Fino a ora, i casi che l’associazione di Mina sta seguendo sono più di 50. Nessuna delle persone incarcerate è stata formalmente accusata o condannata. “Quando qualcuno viene portato nelle stazioni di polizia, dovrebbe restare lì per quattro giorni e, se non ci sono motivi per trattenerlo, dovrebbe essere rilasciato. Molto spesso le autorità sostengono di avere bisogno di più tempo per raccogliere le prove quindi prorogano il fermo per altri 15 giorni. I rinnovi vanno avanti di 15 giorni in 15 giorni, fino a 2 anni”. 

I detenuti e le detenute in contatto con l’organizzazione raccontano di trovarsi in condizioni pessime: celle minuscole e sovraffolate, continue vessazioni da parte delle autorità. “Molte persone trans vengono stuprate. Per ottenere prove, la polizia fa effettuare dai medici forensi test anali: l’ennesima forma di abuso”. 

“Non sappiamo cosa fare”

Secondo Mina, le discriminazioni contro la comunità LGBT in Egitto si stanno intensificando.“Non abbiamo mai sperimentato una cosa del genere prima: poliziotti con veri profili, molto dettagliati, che si impegnano in lunghe conversazioni con le persone… È una trappola pericolosa. Non sappiamo bene come gestire la situazione, è il motivo per cui abbiamo chiesto a Grindr di mandare la notifica sull’app degli utenti. So che la cosa ha generato panico ma è tutto ciò che potevamo fare.

Nel mio piccolo cerco di informare le persone attraverso i social: non andare in panico se qualcuno vi ferma per strada, dire no se qualcuno chiede di mostrare il contenuto del telefono perché non ne ha il diritto. Dobbiamo essere preparati, dobbiamo essere coraggiosi”. 

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