Cina, alla vigilia del Congresso del Partito proteste contro Xi Jinping

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La repressione si è abbattuta sul dissenso esploso in prossimità dell'apertura dei lavori congressuali: Pechino è sotto il rigido controllo delle autorità

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"Nessun covid test, vogliamo mangiare, vogliamo libertà e dignità", così recitava uno degli striscioni esposti su un ponte di Pechino, le cui immagini sono circolate in rete. A pochi giorni dall’inizio del XX Congresso del Partito comunista cinese, che si aprirà domani nella capitale, in Cina tira aria di protesta. Xi Jinping, vicino ad essere riconfermato per il suo terzo mandato e a rafforzare il suo già forte potere personale, ha scelto la linea dura. L’obiettivo delle autorità è quello di reprimere ogni forma di dissenso in previsione dell’apertura dell’assemblea e di blindare la città in cui si riuniranno i dirigenti.

Le proteste e la repressione

Già da alcune settimane la Cina ha dispiegato il suo apparato repressivo per imbavagliare dissidenti, attivisti e avvocati per i diritti umani. Un’ondata di arresti domiciliari si è abbattuta sui “nemici” della Repubblica popolare. I controlli polizieschi si sono intensificati attorno alla città, che sarà il teatro dell’importante appuntamento politico. "Ogni mattina mi chiamano per sapere cosa farò. Mi dicono di non andare da nessuna parte, di non vedere nessuno, di non dire niente... il loro messaggio è chiaro: spiano ogni mio movimento", ha testimoniato al Guardian un avvocato che ha deciso di mantenere la sua identità anonima. Il territorio pechinese è presidiato in modo capillare con pattuglie di agenti nelle stazioni ferroviarie e posti di blocco nelle strade di accesso che portano alla capitale. In questi giorni entrare e uscire dalla metropoli è quasi impossibile. Sono imposte forti limitazioni anche alle consegne dei corrieri. L’operazione non ha risparmiato le telecomunicazioni con una stretta sull’accesso a internet. Contestualmente le autorità hanno dato avvio a una dura profilassi sanitaria. Se la rabbia è deflagrata in episodi di protesta, è soprattutto a causa dei test di massa e delle restrizioni contro la diffusione del virus. In particolare, sotto accusa è la politica covid zero, che non si è mai attenuata e che viene tuttora attuata attraverso la strategia dei lockdown.

Gli slogan

Molte denunce arrivano tramite il social WeChat. L’attivista Gao Yu ha annunciato sul suo account di essere stato costretto a lasciare Pechino per alcuni giorni per liberarsi dalla morsa poliziesca. Le immagini di due striscioni esposti sul ponte nel nord-ovest della città sono circolate sui social nella giornata di ieri. La maggior parte sono state censurate e rimosse dalla rete. Racchiudevano gli slogan della protesta: i covid test sono uno dei bersagli di un’esasperazione più generale. "Scioperare a scuola e al lavoro, rimuovere il dittatore e traditore nazionale Xi Jinping", si legge su un altro dei cartelli. È raro per il Presidente essere espressamente nominato senza i giri di parole, a cui spesso i dissidenti sono costretti a ricorrere.

Il Ponte di Pechino dove sono stati esposti gli striscioni - Getty

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