È il tredicesimo giorno di disordini. Mentre salgono vertiginosamente i numeri di vittime e arrestati, dal Presidente iraniano non arrivano segnali di distensione. Il suo ultimo intervento lascia presagire che la repressione dei manifestanti non si attenuerà
Sono ormai ottanta le città iraniane che sono state teatro di scontri con le forze di sicurezza durante le manifestazioni e i cortei organizzati per protestare contro la morte di Mahsa Amini, deceduta mentre era in custodia per aver indossato male il velo. Il bilancio degli ultimi dodici giorni è di più di 70 morti e 3mila arrestati. Il presidente Ebrahim Raisi però non sembra retrocedere: “Chi è implicato in questo caos che getta il Paese nell'instabilità deve essere arrestato, sia chi l'ha provocato che chi lo guida”, ha detto, parlando alla tv di Stato mercoledì sera.
La versione di Raisi
Nonostante il crescente numero di morti e l’ondata di arresti nell’ordine delle migliaia, la linea del presidente Raisi resta la stessa a quasi due settimane dall’inizio della crisi. Insiste con vigore sul coraggio degli agenti della polizia che stanno “dando la vita per difendere il Paese”, sottolineando che molti manifestanti sono influenzati dall’attività sediziosa dei dissidenti. Per Raisi le manifestazioni sono "inaccettabili". In ogni sua esternazione è spalleggiato dai governatori delle province che parlano di “assalti premeditati e di distruzione dei beni pubblici”. Si punta il dito specialmente contro i dissidenti iraniani di minoranza curda, accusati di fomentare le rivolte nel Nord-Ovest. A poco sono servite le rassicurazioni fatte a New York, quando il Presidente garantiva che un’inchiesta fosse stata aperta sul “tragico incidente”. Le autorità continuano a etichettare la morte di Amini come un "triste episodio" e ad assicurare che nei prossimi giorni sarà pubblicato un report ufficiale della polizia forense. Secondo gli attivisti, si tratta di semplici dichiarazioni di intenti: la propaganda è martellante nel diffondere la teoria che Amini sia morta per cause naturali.
Anche le scuole e le università in rivolta
Nel frattempo, la società civile è sempre più fuori controllo. Numerose le discese in campo di artisti e sportivi iraniani a sostegno dei manifestanti. Questa settimana l’indignazione ha raggiunto anche le scuole e le università: studenti e professori disertano le lezioni e aderiscono agli scioperi che sono convocati delle associazioni di settore. In altri casi, come è successo alla Scuola di Medicina di Shiraz, i centri di formazione diventano palcoscenici delle proteste: i luoghi prescelti per chiedere a gran voce la liberazione dei giovani arrestati.