La morte della giovane ha provocato un'ondata di proteste in tutto il Paese e non solo. Il caso infatti è ormai uscito dai confini iraniani e ha raggiunto una dimensione globale
Divampa in tutto il mondo la rabbia per la morte di Mahsa Amini, la ventiduenne curda morta il 16 settembre a Teheran mentre era in stato di fermo perché accusata di aver indossato il velo in modo sbagliato. La repressione della protesta guidata dalle donne iraniane ha già fatto morti e feriti tra la capitale e la regione del Kurdistan iraniano.
L’arresto e la morte
Mahsa era in vacanza con la famiglia quando è stata arrestata dalla “polizia morale” per “abbigliamento inappropriato”. La sua colpa? Un ciuffo di capelli fuoriusciva dal velo in cui era avvolta. Poco dopo l’arresto, la ragazza è entrata in coma ed è deceduta all’ospedale di Teheran, dove era stata ricoverata. La polizia iraniana ha sùbito derubricato la morte di Mahsa a “tragico incidente”. La versione ufficiale è che il decesso sia stato provocato da un problema cardiaco, ma la famiglia non ci sta. Il padre di Masha ha ribadito che le condizioni di salute della figlia erano ottimali e che la responsabilità del decesso è interamente della polizia. La giovane, secondo attivisti e dissidenti, è morta a causa delle torture e dei maltrattamenti subiti in carcere. Sarebbe una vittima, in altre parole, di un sistema che perseguita le donne e attenta quotidianamente all’esercizio delle loro libertà fondamentali. La vicenda investe anche il difficile rapporto tra establishment e minoranza curda, da sempre ai margini.
Il Presidente Ebrahim Raisi
Le reazioni sono state immediate. Il caso Mahsa è esploso in un momento di forti tensioni tra società civile e leadership iraniana. Il mese scorso il Presidente Ebrahim Raisi aveva firmato un nuovo decreto particolarmente restrittivo sulle regole in materia di abbigliamento e castità, una stretta che aveva suscitato l’indignazione delle attiviste e risvegliato sentimenti profondi di collera ed esasperazione. Il caso Mahsa Amini ha gettato benzina sul fuoco.
Le proteste e la repressione
Le si vede togliersi gli hijab e bruciarli, tagliarsi i capelli ciocca dopo ciocca, le si sente gridare “A morte il dittatore”, identificato con la Guida Suprema Ayatollah Ali Khamenei e sfidare apertamente le forze dell’ordine: le donne iraniane sono alla testa di una rivolta che sta lasciando traccia sui social network, dove vengono postate da giorni testimonianze di dissenso e di insofferenza nei confronti del regime. Le manifestazioni hanno preso il via sabato a Saqez nella provincia curda nel Nord-Ovest, dove è nata e cresciuta la ragazza. La protesta si è poi allargata a macchia d’olio in tutta la regione e in tutto il Paese. Da Rasht a Divandarreh, Sanandaj, Dehgolan fino a Teheran, che è stata palcoscenico di forti scontri. Il governatore della provincia Mohsen Mansouri ha accusato i manifestanti di assalti premeditati e di distruzione dei beni pubblici.
Un difficile bilancio
Il terzo giorno di disordini è stato il più cruento: le forze dell’ordine hanno sparato sulla folla, secondo quanto riportato da Hengaw, associazione per i diritti del popolo curdo. Mentre il numero dei morti oscilla tra i 2 e i 5, si parla già di almeno 75 feriti e di una scia di arresti, 250 secondo le prime stime. Per stemperare le tensioni le autorità iraniane hanno detto di essere “colpite e addolorate” per la morte della ragazza. Abdolreza Pourzahabi, rappresentante dell’Ayatollah nel Kurdistan, ha fatto visita nella giornata di ieri alla famiglia della ragazza, assicurando che le istituzioni prenderanno provvedimenti nei confronti di eventuali violazioni.
Solidarietà in tutto il mondo
La storia di Masha ha varcato rapidamente i confini dell’Iran. La foto della ragazza viene sbandierata nelle strade delle metropoli di ogni continente. Lunedì, mentre in Iran la polizia apriva il fuoco sulla folla, nel centro storico di Toronto la comunità iraniana di emigrati scendeva in piazza numerosa in segno di solidarietà con le coraggiose manifestanti. Oggi l’ONU è intervenuta sulla vicenda, condannando i fatti di Teheran. "La tragica morte di Mahsa Amini e le accuse di tortura e maltrattamenti devono essere indagate in modo rapido, imparziale ed efficace da un'autorità indipendente competente, assicurando, in particolare, che la sua famiglia abbia accesso alla giustizia e alla verità", si legge nel comunicato firmato da Al-Nashif, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ad interim. La sua portavoce Ravina Shamdasani ha denunciato i metodi repressivi della polizia iraniana che “ha sparato munizioni vere e usato gas lacrimogeni”. Raisi, che ha annunciato l'apertura di un'indagine, si trova proprio a New York per la sua prima Assemblea generale. Nel programma di oggi previsto l’incontro con il Presidente francese Macron, che ha sottolineato di voler “discutere tutti gli argomenti” nel corso del meeting. Il Ministero degli Esteri francese si è già espresso definendo “profondamente scioccante" l’accaduto.