
Re Carlo III e le spinte repubblicane nel Commonwealth: i Paesi che potrebbero sfilarsi
Alcune nazioni che un tempo formavano l'impero britannico sono percorse da pulsioni al cambiamento. Succede soprattutto nei Caraibi, dove per molti la corona inglese è sinonimo di colonialismo. Antigua e Barbuda hanno annunciato un referendum per "completare il cerchio dell'indipendenza e diventare una nazione veramente sovrana", le Barbados lo hanno già fatto lo scorso anno, Giamaica e Belize potrebbero essere i prossimi

Non è senza spine la corona che Carlo III ha messo sul capo dopo la morte della madre Elisabetta. C’è chi critica l’assetto istituzionale del Commonwealth, comunità di Paesi un tempo appartenenti all'Impero britannico. Qualche Stato è tuttora soggetto alla corona, altri sono formalmente "alleati" del Regno Unito, ma con la veste di repubblica. Occuparsi di Commonwealth, per re Carlo III, non è in realtà una novità: ne ereditò il ruolo di presidente già nel 2018, quando la madre lo delegò a rappresentarla definitivamente non potendo più sottoporsi a viaggi lunghi
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Domenica 11 settembre Carlo ha incontrato i rappresentanti del Commonwealth vestendo per la prima volta i panni da re. A Buckingham Palace ha visto la baronessa Patricia Scotland – segretario generale del Commonwealth – e i rappresentati a corte (alti commissari) delle 14 nazioni che ancora riconoscono il monarca inglese come capo di Stato, tra cui Nuova Zelanda, Australia, Canada e Giamaica. A loro ha ribadito l'impegno a servire "i reami del Commonwealth", non solo il Regno Unito, con "lealtà" e nel rispetto delle regole costituzionali di ciascuno
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Carlo è però ben consapevole del desiderio di alcuni Paesi di staccarsi dalla monarchia inglese. Già lo scorso giugno, in un vertice dell’organizzazione che si è tenuto in Ruanda, aveva sottolineato come ogni Stato possa “decidere liberamente” se restare sotto la monarchia oppure diventare repubblica. "L'esperienza della mia lunga vita – aveva aggiunto- mi ha insegnato che cambiamenti possono essere concordati con calma e senza rancore"
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Le pulsioni al cambiamento sono particolarmente vive nei Caraibi. Lì, il ricordo dell’impero si accompagna inevitabilmente a quello del colonialismo e delle conseguenze negative che ha avuto sulla popolazione, a partire dallo schiavismo. Già lo scorso anno le Barbados hanno formalizzato l’addio al legame diretto con la corona. Antigua e Barbuda hanno appena annunciato un referendum che potrebbe portare allo stesso risultato
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Il voto potrebbe tenersi entro tre anni, ha detto il premier del Paese Gaston Browne, precisando che "non si tratta di un atto di ostilità" bensì del "passo finale per completare il cerchio dell'indipendenza e diventare una nazione veramente sovrana". Giamaica e Belize potrebbero essere i prossimi Stati a imboccare la stessa strada: le visite del neo-erede al trono William con la consorte Kate dello scorso marzo – nel mezzo dei festeggiamenti per il Giubileo di platino di Elisabetta - erano state accolte da forti polemiche (in foto, Kate e William in Giamaica)
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Fremiti repubblicani percorrono anche l’Australia. Ci pensa ad esempio il nuovo premier laburista Anthony Albanese, che però – in segno di rispetto per la morte della regina – ha detto che “adesso non è il momento di cambiare”. Il Canada deve fare i conti con la forte componente antimonarchica nel Québec, la premier neozelandese Jacinda Ardern (in foto) – pur negando di averlo messo in agenda – si dice convinta che ci sarà un futuro repubblicano anche per il suo Paese

C'è chi propone di abbandonare la monarchia anche in Gran Bretagna. Ma chi raccoglie queste pulsioni si sta comunque stringendo in questi giorni nel ricordo di Elisabetta II. Così ad esempio Graham Smith, uno dei nomi più importanti del filone antimonarchico. Pur evocando il sogno di un referendum al termine dei funerali reali, lo stesso Smith ammette come sia “difficile” immaginare una campagna di successo sull’isola. Almeno in un futuro prevedibile