A 45 giorni dalla liberazione, i segni delle battaglie e della distruzione sono ancora ovunque, anche se si lavora costantemente per provare a sistemare i danni il prima possibile. E in molti si fanno dei selfie con i carri armati russi a bordo strada. IL REPORTAGE DI SKY TG24
L'ultima moda a Kiev è farsi un selfie con i carri armati russi. Sulla strada per Bucha, tra i boschi, la processione è continua. Le macchine si fermano e tutti scendono per fotografarsi davanti ad una delle poche colonne di tank russi rimaste a testimoniare la ferocia della battaglia per difendere la capitale. I carri sono solo stati spostati al lato della strada per permettere la ripresa della circolazione. Ma sono uno dei simboli della vittoria ucraina intorno a Kiev (GUERRA IN UCRAINA: LO SPECIALE - LA DIRETTA).
I segni delle battaglie e della distruzione
Passare per Bucha e Irpin è una esperienza ancora dolorosa alla vista. A 45 giorni dalla liberazione i segni delle battaglie e della distruzione sono ancora ovunque, anche se si lavora costantemente per provare a sistemare i danni il prima possibile. Luce, gas, elettricità e connessione internet sono tornate. Le strade sono state rattoppate e ripulite. Ma la ricostruzione di tutte le case private che sono andate distrutte sarà lunga e difficile. Il paese è ancora in guerra, l’economia è in difficoltà e, ci spiega il sindaco di Bucha, "tutta l’Ucraina è ancora a rischio, in qualsiasi momento potrebbe arrivare un missile russo a distruggere altri palazzi. Per la ricostruzione bisogna aspettare la fine della guerra, ci vorranno almeno uno o due anni".
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"Non c'è modo di tornare a vivere qui"
Incontriamo Alexander e Natalia sulla strada diventata famosa per le decine di carri armati e mezzi russi distrutti. Adesso la chiamano Bayraktar street, dal nome del drone turco che ha aiutato l’esercito ucraino a distruggere il nemico. La loro casa non c’è più e sono venuti, insieme alla figlia, al genero e alla nipotina, a verificare i danni per l’ennesima volta. Dall’inizio della guerra vivono ad Irpin a casa della figlia, ma qui avevano costruito la loro famiglia, avevano casa, garage e giardino. "Non c’è modo di tornare a vivere qui – ci dice Alexander –. Devo andare al comune a chiedere quando arriveranno i soldi, ma ci vorranno anni". "Qui ci giocavano prima i nostri figli e poi i nostri nipoti – aggiunge la moglie, Natalia –. Adesso potete vederlo anche voi: non c’è più nulla". Insieme alle case sono andati distrutti interi centri commerciali, stazioni di servizio, palazzi enormi. Per un mese più di 10mila russi hanno occupato e saccheggiato le case di chi era fuggito, uccidendo solo qui 400 civili, un quinto della popolazione, adesso sepolti tutti insieme nel cimitero comunale. Ricostruire e ripulire è una necessità e un dovere, dimenticare è impossibile.