Gli account delle rappresentanze diplomatiche di Mosca provano a smentire le conseguenze del bombardamento e Twitter elimina i post
Continua il braccio di ferro tra i colossi dei social media e la propaganda di Mosca sulla guerra in Ucraina. L’ultima mossa su questo fronte è la cancellazione da parte di Twitter di alcuni messaggi dell’ambasciata russa nel Regno Unito.
I post, rimossi per violazione delle regole della piattaforma, sostenevano apertamente che le immagini delle vittime dell’attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol del 9 marzo fossero false, scene ricostruite ad arte da parte dell’Ucraina e dei suoi alleati occidentali.
I messaggi sono stati segnalati come impropri da vari utenti e anche dallo staff del primo ministro inglese Boris Johnson.
(GUERRA IN UCRAINA, AGGIORNAMENTI IN DIRETTA - I VIDEO DEGLI INVIATI - LO SPECIALE - LA MAPPA DEI PROFUGHI)
L’ospedale e la blogger
Insomma madri e bambini soccorsi dopo l’attacco, secondo i diplomatici russi, non esisterebbero se non in una grande messinscena ad uso dei media occidentali. La prova? L’ospedale - si legge nei post rimossi - non era più operativo da tempo perché passato sotto il controllo delle forze armate ucraine che avrebbero fatto evacuare pazienti e personale medico. Di conseguenza i soggetti che compaiono nelle immagini altro non sarebbero che attori. Alcuni dei quali, addirittura, identificabili.
E così nei messaggi rimossi l’ambasciata russa affermava di essere riuscita ad individuare la donna che si sarebbe prestata alla fabbricazione della notizia, interpretando ben due delle vittime presenti nelle immagini riportate dalle principali testate giornalistiche mondiali. Si tratterebbe di una fashion-blogger che risiede a Mariupol.
Tanto è bastato a Twitter per rimuovere i post. Ma quella della piattaforma non è stata l’unica reazione. Anche giornalisti e utenti si sono mobilitati per confutare le affermazioni russe. Come ha fatto notare il giornalista della BBC Shayan Sardarizadeh, le due donne nelle immagini che documentano il bombardamento segnalate dall’ambasciata sono diverse e non potrebbero essere state rappresentate dalla stessa persona.
Inoltre - sempre secondo il giornalista dell’emittente di stato inglese - la blogger identificata è effettivamente incinta ad uno stadio di maternità avanzato ed è anche residente a Mariupol. Dunque avrebbe avuto tutti i motivi per essere ospite dell’ospedale.
Le altre ambasciate
Ma non è stato solo l’account Twitter dell’ambasciata inglese a seminare dubbi sulla ricostruzione dell’evento. Anche le rappresentanze diplomatiche russe in altri Paesi si sono unite al coro. La sede italiana, per esempio, ha parlato del “tentativo di gonfiare lo scandalo” da parte dei media occidentali e ucraini, definendo l’operazione “il massimo del cinismo e della campagna di menzogne”.
Mentre l’ambasciata russa in Francia ha ribatito che nel reparto maternità di Marioupol, “non c’erano né bambini né madri, scacciati dai combattenti neonazisti del battaglione ‘Azov’ “.
Sulla stessa linea ma più circostanziata la versione avanzata dai diplomatici russi di stanza in Israele che hanno ripetuto che “l’ospedale pediatrico non era operativo dall’inizio dell’operazione speciale della Russia in Ucraina” e hanno anche proposto immagini a sostegno della tesi.
Anche in questo caso, però, gli utenti della piattaforma non se ne sono stati con le mani in mano e hanno intrapreso l’attività di verifica delle informazioni. Proprio una delle immagini in questione, quella che mostra un mezzo militare nei pressi di una struttura che dovrebbe rappresentare l’ospedale, è stata geolocalizzata dall’organizzazione investigativa Bellingcat. Risultato: la posizione individuata appare distante 10 chilometri da dove effettivamente si trova il nosocomio bombardato.
Non solo. Alcuni utenti Twitter hanno fatto notare come dall’inizio della guerra quella stessa immagine sia stata utilizzata altre volte dalla propaganda russa per indicare la presenza di militari ucraini in edifici civili come per esempio le scuole.
Infine, anche la tesi che l’ospedale non fosse più operativo da tempo perché occupato dai militari, è stata sottoposta a scrutinio. Il giornalista James Clayton della BBC, per esempio, ha rintracciato un post Facebook del nosocomio del 2 marzo in cui si chiede supporto di gasolio e altri strumenti per fare funzionare la struttura. Che dunque continuava la sua attività anche dopo l’invasione del 28 febbraio.