A votare sono stati 14.558 elettori con un'affluenza del 41%. Il Congresso di Stato sarà chiamato a redigere entro sei mesi un progetto di legge volto a disciplinare l'interruzione volontaria di gravidanza in territorio sammarinese, a 43 anni di distanza dalla legge italiana
I cittadini di San Marino hanno approvato la legalizzazione dell'aborto in un referendum che, secondo i risultati definitivi, è stato approvato con il 77,30% dei Sì e il 22,70% dei No. I residenti della minuscola repubblica, dalla forte tradizione cattolica, si sono espressi così a larga maggioranza per consentire l'interruzione di gravidanza entro le 12 settimane e, in caso di malformazioni del feto o rischi per la vita della gestante, anche oltre questo termine.
Il referendum sull’aborto
Il referendum propositivo di iniziativa popolare prevedeva questo quesito sulla scheda: “Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?”. A votare per il referendum, spiega una nota del Titano, sono stati 14.558.elettori: il voto interno si è attestato sul 60,30% per un totale di 13.850 voti mentre gli elettori esteri sono stati 708. L'affluenza del 41,11% è risultata in linea con la tornata referendaria di giugno 2019 sulla modifica della legge elettorale e sul divieto di discriminazione in base all'orientamento sessuale.
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Cosa succede ora
Ora, con la vittoria del sì, il Congresso di Stato sarà chiamato a redigere entro sei mesi un progetto di legge volto a disciplinare l'interruzione volontaria di gravidanza in territorio sammarinese. Nel dettaglio - viene esplicitato - la Reggenza, ricevuto il progetto di legge, lo trasmetterà al Collegio Garante della costituzionalità delle norme perché si esprima sulla compatibilità della proposta. Il Congresso di Stato, apportati eventuali emendamenti, depositerà il progetto di legge all'Ufficio di Presidenza del Consiglio Grande e Generale che lo inserirà all'ordine del giorno della prima seduta utile.
I fronti del Sì e del No
La campagna sul referendum ha visto schierati su opposti fronti le attiviste dell'Uds (Unione donne sammarinesi) e le associazioni Pro Vita. In questi giorni i quartieri o Castelli di San Marino sono stati tappezzati di manifesti, alcuni con immagini esplicite come feti ricoperti di sangue o giovani affetti dalla sindrome di Down. I sostenitori del Sì evidenziavano come, a 43 anni di distanza dalla legge italiana, le donne a San Marino non potessero abortire neanche in pericolo di vita e come l'interruzione di gravidanza fosse per il codice penale sammarinese un reato con una pena prevista dai tre ai sei anni di reclusione. Una lettura, questa, contestata dal Comitato Uno di Noi: "Uds non è stata in grado di presentare neppure un caso in cui negli ultimi decenni una donna residente in Repubblica sia morta perché si è preferito far nascere il bambino e lasciarla morire. Uds non è stata in grado di presentare tali casi in quanto non esistono. L’art. 42 del codice penale (stato di necessità) - prosegue il comitato - articolo applicabile a tutti gli articoli del codice e dunque anche all’aborto, sancisce la non punibilità del reato se ricorre la necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Dunque in caso di pericolo di vita della mamma, ove una relazione medica attesti il pericolo di vita della madre il giudice autorizza l’aborto. E dunque non vi sono processi penali successivi”.
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