11/9 Stories, Brantley (New York Times): raccontare teatro dopo 11/9 un dono straordinario

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Valentina Clemente

 

“Dopo l’11 settembre, tornare a teatro e ricominciare a raccontarlo è stato un dono straordinario. È come se, dopo un periodo molto buio, io sia riuscito a trovare nella scrittura e nell’arte quel briciolo di normalità di cui tutti avevamo bisogno”. Ben Brantley, storico critico teatrale del New York Times racconta con queste parole il ritorno a teatro ma soprattutto la ripresa di quello che lui ha sempre amato fare: scrivere di arte. Perché lei sa guarire, anche dopo fatti tragici come quelli di di 20 anni fa 

Non solo una penna magica, un appassionato giornalista e un amante del teatro in tutte le sue forme, ma soprattutto un amante dell'arte. Di quell'arte che accoglie, ti fa guardare la vita con occhi diversi. Ma anche quell'arte dove puoi trovare rifugio dopo momenti difficili e per guarire da ferite profonde. Forse questo potrebbe essere un ritratto, non esaustivo, di Ben Brantley, storico critico teatrale del New York Times. In ogni mio passaggio a New York (e Broadway, ovviamente...altrimenti che senso ha essere stati nella Big Apple e non aver visto almeno uno spettacolo?!), ho sempre letto le sue recensioni. Mai banali, critiche al punto giusto, mai di parte. Un maestro da cui imparare. Quando ci siamo incontrati su Zoom, ad agosto, la mia prima domanda è stata: quanto tempo ha? E lui: il tempo di cui hai bisogno. Già sapevo che era un punto di riferimento, ma questa risposta mi ha fatto capire quanto la sua passione vada oltre ogni confine, di tempo e di impegni. Il tempo è prezioso: condividerlo ancora di più.

 

Tornare a teatro dopo l'11 settembre: essenziale e magico

"Il teatro rappresenta New York in molti modi e Broadway è considerata il vero cuore della città. Il sindaco Giuliani, che ora è una figura meno nobile rispetto al 2001, credo si sia comportato bene. Rivolgendosi alle persone che hanno organizzato la riapertura dei teatri ha detto: dobbiamo ripartire il prima possibile. Inoltre, tornando alla vecchia idea aristotelica della catarsi, penso che i teatri abbiano regalato momenti di sfogo alle persone. È stato molto importante affrontare la situazione, riunirsi e capire come l’arte potesse veramente essere di forte aiuto in momenti difficili. Per me tornare a teatro è stato essenziale ma anche stranamente magico. Il primo spettacolo aperto dopo l'11 settembre è stato Metamorphoses, basato sulla poesia di Ovidio e diretto da Mary Zimmermann, che ha poi vinto un Tony Award. Una storia sulla perdita e soprattutto su come la memoria può trasformarla, specialmente per quanto riguarda grandi catastrofi ma anche nella propria famiglia. E come ripensare proprio a chi abbiamo perso e come questo può trasformarsi in qualcosa di simile alla poesia".

Pensa che i newyorkesi si siano sentiti più vicini quando sono tornati a teatro e a vedere gli spettacoli di Broadway, ma anche agli spettacoli di Off Broadway…

 

Methamorphoses, infatti, era uno spettacolo Off Broadway, poi si è spostato a Broadway. È interessante fare un confronto ora con il Covid, perché non possiamo rispondere con la rapidità che vorremmo, ma anche la possibilità di essere un solo corpo e sentirci più vicini alle altre persone. Il primo spettacolo di Broadway che ho seguito dopo l'11 settembre è stato Mamma mia: un musical molto divertente e leggero, simile ad una serata al karaoke ma che è, comunque, riuscito a dare la sua catarsi. Gli spettatori in sala alternavano momenti in cui piangevano ad altri in cui erano preoccupati. Non so se questo fosse ciò che Aristotele intendeva con “catarsi”, ma il musical ha comunque regalato una forma di liberazione. Meryl Streep era tra gli spettatori presenti allo spettacolo e, dopo aver assistito allo show, ha scritto una lettera al regista dicendo: questo musical mi ha dato tanto questa sera, se mai vuoi fare un film su questo, chiamami. Detto, fatto.

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Quando è tornato a teatro, come crede si siano sentiti gli artisti? Lei doveva raccontare le loro storie, ma anche la storia dello spettacolo. Secondo lei, come si sono sentiti?

Penso che ci sia sempre uno scambio di emozioni tra il pubblico e gli attori sul palco. Ogni artista racconta che ogni performance è diversa dalle altre perché il pubblico è sempre diverso e ogni volta c’è una reazione differente. Quello che conta, secondo me, è che, in quei momenti, volevamo stare tutti insieme. Un po’ come quando cadi da cavallo, prima o poi provi a esercitarti di nuovo e a risalirci. È difficile fare quel primo passo. Ma quando prendi coraggio e lo fai, apprezzi ancor di più quel momento perché ti permette di capire che la vita va avanti. Noi eravamo lì a sostenerci a vicenda e credo sia qualcosa di molto bello.

La gratitudine nei confronti degli artisti sul palco

Quando sono tornato a teatro, due settimane dopo, ovvero quando gli spettacoli sono stati ufficialmente riaperti, nulla era come prima, c'era un'emozione strana nel pubblico e un'estrema gratitudine per le persone che erano in scena. La parola eroi era molto usata a quel tempo, e non si vuole usarla troppo, ma c'era qualcosa di eroico nelle persone sul palco e nelle esibizioni. Eravamo così grati per la loro presenza. 

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"Noises Off" e le risate (liberatorie) fino alle lacrime

Un altro spettacolo che ha aperto poco dopo e che sembrava fornire una propria forma di catarsi è stata una farsa dal titolo “Noises Off”, interpretata da attori bravissimi. Anche quella farsa ci ha aiutato a guarire. La gente rideva così tanto, con una potenza che mai, prima, avevo sperimentato a teatro. La farsa mostra il mondo fuori controllo: fa vedere persone che crollano, altre che aprono la porta sbagliata, altre ancora che cadono a terra. Ma noi tutti, tra il pubblico, sapevamo il perché di queste interpretazioni. Gli attori erano estremamente neutrali, c'erano degli errori, certo, ma facevano parte della sceneggiatura. C'era un inestimabile senso di sollievo. Le risate erano talmente forti, stavamo veramente tutti ridendo fino alle lacrime per quella performance. È stata una grande liberazione.

L'arte ti permette di trovare un ordine nel caos, di trovare la poesia, l'acredine e la paura. Per me non c'è stato nulla di più consolante della grande arte. Ma soprattutto: l’arte mi ha permesso di dare sostanza alla vita. Una vita che, a volte, può essere triste e toccata da eventi difficili come l’11 settembre.

 

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Il ruolo dell'arte per la ripresa di New York? Fondamentale

Quindi è stato molto felice di tornare in sala…

Oh, estatico. Il mio editore mi ha chiamato subito dopo l'11 settembre e mi ha chiesto di scrivere un articolo su quale ruolo avrebbe potuto svolgere l’arte proprio nella lunga ripresa di New York dopo i tragici fatti del World Trade Center. E quello che mi sono messo a scrivere è stata una lunga descrizione dell'attore britannico Laurence Olivier apparso sul palcoscenico dell'Old Vic Theatre nel 1946, subito dopo la seconda guerra mondiale, mentre parlava dell'indicibile devastazione che la guerra ha portato a Londra, le bombe, le vite perse, gli edifici distrutti. C'è un momento in cui Edipo scopre che la donna che pensava fosse sua moglie è, invece, sua madre. Scopre anche di aver ucciso suo padre. Per rabbia, si strappa gli occhi. Ciò non accade sul palco, ma Olivier ha fatto un urlo di cui la gente ha parlato per anni. Gli inglesi possono essere una razza molto stoica, e se tutto il dolore, tutta la sofferenza, tutte le paure della gente fosse racchiusa in quell'incredibile urlo, che faceva vibrare l'intero teatro, sarebbe fantastico. 

Mamma mia, Metamorphoses, Noises Off: commedie molto diverse, tutte sembravano dare quella risposta comunitaria che risale ai tempi dell'antica Grecia, e nel tuo caso, dell'antica Roma.

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È stato difficile scrivere il primo articolo dopo l'11 settembre? 

È come quando pensi agli artisti sul palco. Pensi: posso farlo. Ma quando ti siedi e lo fai sei così grato di poterlo fare. A dir la verità, è stato più facile di quanto mi aspettassi, perché stavo facendo quello che più amo fare al mondo. Nel momento in cui nulla sembra normale, l’arte e la scrittura mi hanno ridato quel senso di normalità di cui avevo bisogno. Mi sono reso conto che potevo, di nuovo, dedicarmi al teatro e ai suoi racconti ed è stato un dono straordinario. Avrei potuto non farlo. Ma mi sono seduto alla scrivania e ho messo le dita sulla tastiera. All'improvviso ho pensato: è tutto meraviglioso, posso farlo di nuovo.

L'arte ti permette di fare ordine nel caos e di sconfiggere la paura

Penso che l'arte sia lo strumento perfetto per superare i problemi. Lo crede anche lei?

Sì, lo credo anch’io. Quando scrivevo di Metamorphoses, che si basa su poesie vecchie di migliaia di anni e miti ancora più antichi, pensavo anche al ruolo che questi miti hanno avuto nella vita delle persone, perché sono stati inventati e perché sono stati raccontati così tante volte. L'arte ti permette di fare ordine nel caos, di trovare la poesia, di sconfiggere l'acredine e la paura. Per me non c'era niente di più consolante della grande arte e dare forma a una vita che a volte può essere terrificante nella sua forma. A vent'anni dall'11 settembre, la pandemia ci ha portato via dai teatri, in tutto il mondo. E come hai detto, New York City è Broadway. Come possiamo stare senza teatri?

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