Bruxelles smentisce che i negoziati nell’ambito della nuova Politica Agricola Europea contengano riferimenti all’aggiunta di acqua anche nei vini a denominazione protetta DOP e IGP, possibilità definita da Coldiretti come “un inganno legalizzato e un grosso rischio”. L’eurodeputato De Castro precisa che, anche nel caso in cui passasse la norma, non ci sarebbe alcuna imposizione per i viticoltori ma, al più, un'opportunità di allargare il mercato vinicolo in Paesi che non consumano alcolici, come quelli arabi
Negli scorsi giorni in Italia si è creato un dibattito intorno alla notizia, riportata per prima da Coldiretti, secondo cui l’Unione Europea sarebbe al lavoro su una proposta per autorizzare l'eliminazione totale o parziale dell'alcol e la possibilità di aggiungere acqua nei vini prodotti dagli Stati membri. La proposta rientra nell’ambito del “Piano d’azione per migliorare la salute dei cittadini europei”. “Un inganno legalizzato per i consumatori che si ritrovano a pagare l'acqua come il vino” lo aveva definito Coldiretti. I negoziati sono però ancora in corso e la questione sarebbe più complessa, tanto che diverse associazioni di categoria, come la UIV- Unione Italia Vini- e EFOW – Federazione europea dei vini a denominazione di origine – hanno espresso pareri più prudenti. Sembrerebbe arrivare anche una smentita direttamente da Bruxelles. Secondo quanto riportato da Agi, che cita fonti dal Belgio, “la proposta della Commissione non contiene alcun riferimento all’aggiunta di acqua al vino”.
I negoziati
I negoziati in questione rientrano nell’ambito della nuova PAC (Politica Agricola Comune europea), la strategia pluriennale che gli Stati membri concordano per disciplinare il comparto agroalimentare dell’Unione. Da alcuni Paesi è arrivata la proposta se includere o meno alcune regole che estenderebbero le etichette delle denominazioni d’origine – DOP e IGP – anche ai vini dealcolati, ossia quelli senza o con una quantità minima di alcol al loro interno. Non annacquare il vino, dunque, ma aprire ai vini parzialmente senza alcol, anche tra quelli a denominazione. Un nuovo incontro a Bruxelles è previsto per il 25 e il 26 maggio.
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Opportunità di mercato
Al momento in Europa non è permesso realizzare vini dealcolati a denominazione protetta. La proposta di aprire alle pratiche di eliminazione parziale o totale dell’alcol nel vino è stata messa sul tavolo del Comitato speciale agricoltura di aprile, appoggiata da numerosi Stati membri. L’eurodeputato Paolo De Castro (Pd) ha detto che, quello che Coldiretti definisce come “un grosso rischio che metterebbe a rischio l’identità del vino italiano ed europeo”, sarebbe invece un’opportunità di crescita del settore vinicolo nel mercato dei prodotti analcolici. Precisa l’eurodeputato che, anche se passasse la norma, non si andrebbe “a togliere nulla a quanto esiste già, creando solo un’enorme possibilità in quei mercati che non consumano bevande alcoliche, come nei Paesi Arabi. Si pensi alla birra analcolica”.
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“Nessuna imposizione ai viticoltori”
De Castro ha anche detto che, in ogni caso, “nessuna norma potrà essere imposta ai viticoltori, perché la scelta finale su un’eventuale modifica del prodotto rimarrà nelle loro mani, con i necessari cambiamenti dei rigidi disciplinari interni di produzione”. L’eurodeputato ha poi precisato che non ci sarebbe ancora un accordo sulla futura denominazione dei prodotti simili al vino ma a base di acqua: “un vino senza alcol non può essere definito tale, per questo il Parlamento Ue si è sempre espresso contro, anche se comprendiamo le opportunità commerciali e d’export che vini a basso tenore alcolico avrebbero in alcuni mercati”.
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La posizione di EFOW e UIV
Anche Bernard Farges, presidente della EFOW, ha ricordato che “è importante tenere a mente che la denominazione deve e può mantenere il controllo delle sue specifiche”. Per il segretario generale della UIV Paolo Castelletti "è importante che queste nuove categorie di prodotti dealcolizzati rimangano all’interno della famiglia dei prodotti vitivinicoli, per evitare che possano divenire business di altre industrie estranee al mondo vino e che dunque siano le imprese italiane a rispondere alle richieste di mercato, specialmente di alcuni Paesi asiatici”.