Il nuovo parlamento di Edimburgo avrà una chiara maggioranza indipendentista. La prima ministra ha già detto che chiederà un nuovo referendum. Il primo ministro britannico si oppone strenuamente a questa possibilità, invita la leader scozzese a un summit insieme a Galles e Irlanda del Nord, e cerca un dialogo sempre più difficile da stabilire. (L’inviata a Edimburgo)
Edimburgo - “Cara Nicola…”. Non si è ancora finito di contare tutti i voti per il rinnovo del Parlamento, in Scozia, che il primo ministro britannico Boris Johnson prende carta e penna e scrive all’unica personalità interna al Regno Unito che è davvero capace di fargli venire dei gran mal di testa.
Quarta vittoria consecutiva per lo Scottish National Party
Per la quarta volta consecutiva lo Scottish National Party ha vinto le elezioni, sfiorando la maggioranza assoluta in un sistema studiato per evitarlo. Governerà con ogni probabilità con l’altro partito indipendentista, i verdi, e questo vuol dire innanzitutto una cosa: che a Holyrood (la sede del parlamento scozzese) la maggior parte dei parlamentari saranno a favore della richiesta di un nuovo referendum per l’indipendenza. Con buona pace del primo ministro britannico e di molti altri a Westminster che pensano che gli scozzesi possano avere “solo un referendum a generazione”.
“Non vi è assolutamente alcun dubbio che ci sarà una maggioranza indipendentista all’interno del Parlamento scozzese. E secondo qualsiasi standard di democrazia, quella maggioranza dovrebbe onorare l’impegno che ha assunto nei confronti del popolo scozzese”, ha commentato la Sturgeon mentre il dato elettorale andava consolidandosi.
Gli scozzesi vogliono il referendum sicuramente più di quanto vogliano l’indipendenza, nel senso che per loro la cosa che conta più di ogni altra è la possibilità di scelta. Il tutto nel rispetto delle regole, mai fuori della legalità. Per questo, se accostati alla questione catalana, tendenzialmente reagiscono prendendo le distanze e facendo dei distinguo belli forti.
Dicono di sentirsi più europei che britannici, e ascoltandoli parlare di Brexit si ha la netta sensazione che si sentano ora privati di qualcosa di importante, di una parte di se stessi. “La nostra storia è europea, la nostra cultura è europea, i nostri valori sono europei”, è un mantra che abbiamo sentito ripetute volte in questi giorni: ad Edimburgo come a Glasgow, come a Dundee, città che già nel 2014 aveva votato per l’indipendenza. In Scozia la bandiera europea sventola ancora fuori dalle istituzioni (anche ad Holyrood) come dai davanzali delle finestre. Rimane lì, imbrigliata e tenace, come un sogno bello all’ora del risveglio che non vuoi lasciare andare. Alba (questo il nome della nazione in gaelico) non accetta ancora il brusco risveglio di una Brexit che ormai è realtà.
Prove di dialogo da Boris Johnson
“Credo fermamente che gli interessi di tutte le persone nel Regno Unito e in particolare degli scozzesi siano meglio garantiti quando lavoriamo assieme”, scrive Johnson nelle prima righe della sua missiva. Il premier – detestato in Scozia - sa che il Paese potrebbe forse sopportare la perdita dell’Irlanda del Nord, ma che senza Edimburgo il Regno Unito è finito. Da qui l’invito a partecipare a un summit per “discutere delle sfide comuni e su come lavorare insieme nei prossimi mesi e anni per superarle”. Un invito esteso anche al leader gallese, Mark Drakeford, e al primo ministro e vice primo ministro nordirlandese (con una Arlene Foster che ha già presentato le dimissioni).
Le incognite dell'indipendenza
Comunque si voglia guardare a questa vicenda, il futuro della Scozia è carico di sfide e di incertezze. E’ pensabile un nuovo referendum a stretto giro, nel corso di questa legislatura, con una pandemia ancora non conclusa? Che ne sarebbe dell’SNP se non raggiungesse questo obiettivo dopo così tanti anni consecutivi di governo? E ancora: i sostenitori dei partiti indipendentisti voterebbero poi tutti per l’indipendenza? Non è detto.
E supponiamo che si arrivi al referendum: ogni separazione (si veda Brexit) è carica di incognite, problematiche e conseguenze. Finora l’SNP riesce a pensare al futuro della nazione fino al referendum, ma sul come eventualmente gestire poi l’addio al Regno Unito (con l’istituzione di un confine, la necessità di battere moneta nuova e tanto altro) manca di concretezza in maniera pressoché assoluta. E questo ha un pericoloso sapore di déjà vu, se si pensa alle relazioni tra Londra e Bruxelles degli ultimi anni, che sarebbe meglio evitare al popolo scozzese.