Su Facebook l’Ambasciata svedese in Italia difende le misure in vigore nel Paese per fermare il virus e attacca il modo in cui la situazione è stata raccontata. Lo Stato, si legge, “condivide gli stessi obiettivi di tutti: salvare vite. Stiamo facendo del nostro meglio”
La Svezia difende la sua strategia per cercare di contenere la diffusione del coronavirus. Lo fa attaccando anche il modo in cui alcuni giornali italiani hanno raccontato la situazione nel Paese scandinavo, in cui non c’è un lockdown e non tutte le scuole hanno chiuso. “Abbiamo notato che negli ultimi giorni si è generata una spirale di disinformazione su media autorevoli in Italia. Ad esempio, un’intervista del primo ministro Stefan Löfven alla televisione svedese è stata estrapolata dal suo contesto e citata in maniera non corretta”, si legge in un lungo post pubblicato mercoledì sulla pagina Facebook dell’Ambasciata di Svezia in Italia. La frase a cui ci si riferisce è quel “Non abbiamo fatto abbastanza” (VIDEO) finito sui giornali di tutto il mondo. Nel Paese i contagi, secondo i dati elaborati dalla Johns Hopkins University, al 16 aprile sono oltre 12.500 e i decessi oltre 1.300 (GLI AGGIORNAMENTI - LO SPECIALE - “IO RESTO A CASA”).
Il post dell’Ambasciata
Nel messaggio pubblicato sui social, l’Ambasciata svedese prova a “riportare alcuni fatti che potrebbero gettare una nuova luce sulla situazione”. “La Svezia – si legge – condivide gli stessi obiettivi di tutti gli altri Paesi: salvare vite e proteggere la salute pubblica”. Per farlo, continua il post, “stiamo usando strumenti simili alla maggior parte degli altri Paesi, promuovendo il distanziamento sociale, la protezione delle persone vulnerabili e dei gruppi a rischio, effettuando test e rafforzando il sistema sanitario per far fronte alla pandemia. Lavorare da casa quando è possibile, evitare i mezzi pubblici e i luoghi affollati, limitare i contatti con altre persone e restare in casa al minimo segno di raffreddore, sono solo alcune delle misure di contenimento adottate in Svezia”. Secondo l’Ambasciata, “le misure adottate dalla Svezia differiscono da quelle di altri Paesi solo in alcuni punti, per esempio non stiamo chiudendo le scuole per i bambini più piccoli e gli asili nido e non abbiamo alcuna regolamentazione che costringa i cittadini a rimanere nelle loro case. Anche se in Svezia non è in vigore un lockdown totale, molte attività sono chiuse e la popolazione osserva le raccomandazioni fatte dal governo e dagli esperti” (LE TAPPE DELL'EPIDEMIA - LE FOTO SIMBOLO - LE GRAFICHE CON I DATI).
“La vita è molto cambiata anche in Svezia”
Secondo l’Ambasciata, però, “la vita è molto cambiata anche in Svezia”. “Gli operatori sanitari stanno combattendo in prima linea, gli anziani nelle case di cura non possono incontrare i parenti e tanti nonni non vedono più i nipoti da molto tempo, gli imprenditori stanno lottando. L'intera società svedese è fortemente coinvolta nell’affrontare la pandemia. Molte persone restano a casa e molte altre hanno smesso di viaggiare (gli spostamenti verso le località di villeggiatura durante le festività pasquali rispetto al 2019 sono diminuiti del 96%)”, si legge nel post. Tutto questo, secondo l’Ambasciata, “ha avuto gravi effetti sia sugli svedesi che sull’economia svedese. Troppe aziende stanno chiudendo. Si prevede che la disoccupazione aumenterà drasticamente. Il governo ha adottato diverse misure economiche per mitigare gli effetti economici del Covid-19 e stabilizzare l'economia” (I CASI NEL MONDO - LE NOTIZIE DELLA FARNESINA SULLA SVEZIA).
Le scelte del governo
Nel messaggio, poi, si sottolinea che “l'attenzione del governo è sempre stata quella di garantire, sulla base del parere delle autorità competenti, che vengano prese le misure giuste al momento giusto per proteggere innanzitutto la salute e la sicurezza della popolazione”. Per questo, “il governo ha introdotto gradualmente nuove regole e raccomandazioni che condizionano l'intera società, comprese le vite private delle persone. Gli esperti con trasparenza hanno fatto riferimento al fatto che le autorità sanitarie, nel caso che l'epidemia raggiunga livelli di contagio molto più alti, potrebbero purtroppo trovarsi di fronte alla scelta di dover dare la priorità dei posti in terapia intensiva ai pazienti con più probabilità di guarire. Lo stesso drammatico ragionamento è stato fatto dalle autorità sanitarie di molti altri Paesi”. “Come gli altri Paesi stiamo facendo del nostro meglio per limitare l’impatto della pandemia e tornare alla normalità il più presto possibile”, conclude il post.