Brexit, Regno Unito valuta taglio dei dazi in vista di un possibile voto sul no deal

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Oggi la Camera dei comuni decide sull’uscita senza accordo, giovedì su un’eventuale richiesta di rinvio del divorzio. Parlamento europeo approva misure di emergenza in caso di no deal. Barnier: Abbiamo fatto il possibile. Timmermans: La nostra posizione non cambierà

Non c’è pace per Theresa May che, dopo la seconda bocciatura di ieri al suo accordo sulla Brexit, oggi torna alla Camera dei comuni per mettere ai voti una mozione sul no deal, ovvero l’uscita dall’Ue senza un’intesa. La premier britannica lascerà libertà di voto ai Tory, ma resta contraria a un no deal e domani metterà ai voti un'ulteriore mozione sulla possibilità che il governo chieda un breve rinvio della Brexit (l’uscita dall’Unione è prevista per il 29 marzo). Nel caso di un voto favorevole al no deal, il Parlamento europeo ha approvato una serie di misure di emergenza e la Gran Bretagna ha annunciato che potrebbe eliminare i dazi su diversi beni ed evitare il cosiddetto “hard border” tra Irlanda e Irlanda del Nord. (LE PAROLE CHIAVE DELLA BREXIT)

Le misure di emergenza

L'aula del Parlamento europeo ha dato il via libera a quattro relazioni: la prima per un'autorizzazione all'export di determinati prodotti dell'Ue verso il Regno Unito e l'Irlanda del Nord. La seconda sul proseguimento del programma Erasmus+, la terza su alcuni aspetti della sicurezza aerea, e la quarta con una deroga per proseguire i programmi di cooperazione PEACE IV e Regno Unito-Irlanda alla frontiera nordirlandese.

L’87% delle importazioni senza dazi

Dalla Gran Bretagna, in caso di no deal, arriva invece un piano commerciale, annunciato dal governo May e illustrato dal ministro del Commercio Estero, Liam Fox, che prevede che il Regno Unito rinunci a imporre dazi per un periodo "fino a 12 mesi" sull'82% dei prodotti importati dall'Ue (contro il 100% 'zero-tariff' di adesso) e sul 92% di quelli in arrivo dal resto del globo (contro il 56%). Considerando il totale delle importazioni dal mondo, l'87% sarebbe garantito per un anno senza dazi contro l'80% circa attuale. Al confine irlandese, secondo quanto riferito da Reuters, il governo avrebbe deciso di non introdurre nuovi controlli sulle merci che si spostano dalla Repubblica irlandese all'Irlanda del Nord. 

Confindustria Uk: piano imposto alla Nazione senza consultazioni

Ma secondo Carolyn Fairbairn, boss di Cbi, la Confindustria del Regno, non basta: sarebbe in ogni caso "il più grande cambiamento di politica commerciale dall'800", osserva, e accusa il governo d'aver definito il piano "senza consultare" le imprese e chiedendo di evitare il no deal puntando a un rinvio. Questo piano "viene imposto alla Nazione senza consultazioni con il business che non ha il tempo di prepararsi", commenta la numero uno della Confindustria britannica. "Non è il modo di condurre un Paese", rincara la dose, aggiungendo che i dazi - anche ridotti al minimo - avrebbero l'effetto di "una martellata sull'economia" nazionale e costringerebbero le aziende a spendere di più per fare scorte.

Barnier: "Il rischio di un 'no deal' non è mai stato così grande"

Sul nodo Brexit è intervenuto di nuovo anche il capo negoziatore dell'Ue per la Brexit, Michel Barnier: "Il voto di ieri sera prolunga e aggrava una grande incertezza". "La responsabilità sulla decisione della Brexit - ha aggiunto - è esclusivamente britannica e oggi la prima responsabilità per uscire dall'impasse ricade sul Regno Unito. Se continuano a voler uscire" l'accordo negoziato "è e resterà l'unico trattato disponibile. Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo fare". "Il rischio di un 'no deal' non è mai stato così grande, chiedo di non sottovalutarlo - ha proseguito Barnier - Invitiamo in modo solenne tutte le parti interessate a prepararsi. Noi non abbiamo mai lavorato per un 'no deal' ma siamo pronti ad affrontare questa situazione". Londra, ha concluso, "deve dirci che scelta ha fatto sulle nostre relazioni future. Questo deve arrivare prima di decidere un prolungamento. Prolungare il negoziato per fare cosa?".

Timmermans: "La nostra posizione non cambierà"

Sulla stessa linea di Barnier anche il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, secondo cui "ora gli unici che possono dirci che strada seguire sono i parlamentari britannici". "Non vedo altre soluzioni se non l'accordo di recesso che abbiamo negoziato, questa resta la nostra posizione e non cambierà - ha precisato - La soluzione ora deve arrivare da Londra".

La seconda bocciatura dell’accordo

Non sono servite a nulla, quindi, le intese dell'ultima ora con l'Ue sulle garanzie riguardanti lo spinoso nodo del confine irlandese. Ieri la Brexit è sprofondata di nuovo nel caos, con un secondo voto che è andato giusto un po' meno peggio rispetto alla sconfitta fragorosa di gennaio: 242 favorevoli e 391 contrari. Ma la sostanza non cambia: senza voti la premier Tory ha incassato un'ulteriore umiliazione destinata ad allargare la voragine dell'incertezza sui tempi, i termini e forse lo stesso epilogo del divorzio di Londra da Bruxelles, oltre che a mettere in discussione la tenuta della sua poltrona e quella dell’intera legislatura. Molti dei dissidenti sono rimasti tali: fra i brexiteer Tory più oltranzisti, capeggiati da un Boris Johnson sempre più apertamente favorevole al no deal, nei ranghi dei 10 vitali quanto inaffidabili alleati della destra unionista nordirlandese del Dup, come in una parte dei moderati pro-Remain

Le opzioni sul tavolo

Le possibilità a questo punto sono due: una “Hard Brexit” o un rinvio che potrebbe portare a un nuovo referendum. Qualora oggi i deputati decidessero di escludere una “Hard Brexit”, giovedì potranno decidere se chiedere a Bruxelles una proroga della data di divorzio. May ha sottolineato che l'estensione non "risolve il problema" e che i 27 Paesi Ue non solo devono essere d'accordo all'unanimità, ma vorranno anche sapere per cosa Londra chiede più tempo: se il rinvio è perché il Regno Unito vuole abrogare l'articolo 50 del trattato di Lisbona (in base al quale il Paese deve lasciare l'Unione il 29 marzo), se vuole un nuovo referendum o se vuole un'uscita con un altro accordo.

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