Il suo legale spiega che l’australiano non ha alcuna intenzione di accettare. L’organizzazione: una "manovra diversiva". Ieri il presidente Moreno aveva garantito che le autorità britanniche non lo avrebbero estradato dove rischia la pena di morte
Julian Assange non ha alcuna intenzione di accettare l’accordo, evocato dal presidente dell'Ecuador Lenin Moreno, in base al quale potrebbe lasciare l'ambasciata di Quito a Londra, dove vive da rifugiato dal 2012, con la presunta garanzia delle autorità britanniche di non estradarlo in Paesi dove potrebbe rischiare la pena di morte. A dirlo è Barry Pollock, uno dei legali del giornalista e attivista australiano fondatore di Wikileaks. L’organizzazione ha liquidato le parole di Moreno come una "manovra diversiva".
L’annuncio di Moreno
L’Ecuador, in passato, ha concesso formalmente asilo politico ad Assange. Il presidente Moreno, ieri, ha parlato di un accordo in base al quale il giornalista avrebbe avuto una “quasi libertà”, senza spiegare nel dettaglio cosa intendesse. In un’intervista, il leader del Paese sudamericano ha dichiarato che Assange può lasciare la sede diplomatica, nella quale è stato accolto sei anni fa, perché Londra ha fornito "garanzie scritte che non sarà estradato in nessun Paese in cui rischierebbe la pena di morte". Da Downing Street non è arrivata nessuna conferma ufficiale in merito.
L’avvocato: “Ecuador è tenuto a garantirgli l'asilo politico”
L'avvocato Pollock, citato dal Daily Telegraph online, ha bollato le proposte del presidente dell’Ecuador come inaccettabili. “Lasciar credere che togliere dal tavolo la pena di morte comporti per Assange di non dover più temere d'essere perseguito sarebbe ovviamente sbagliato, mentre nessuno deve essere perseguito per aver pubblicato informazioni vere”, ha dichiarato il legale. Ha aggiunto che "l'Ecuador è tenuto a garantirgli l'asilo politico": a maggior ragione perché, "come sembra, gli Usa ne hanno predisposto l'incriminazione".
Wikileaks: “Manovra diversiva”
Wikileaks, sul profilo Twitter dell'organizzazione, si è detto convinto che quella di Moreno - deciso a liberarsi dallo scomodo ospite ereditato dal suo predecessore Rafael Correa, molto meno sensibile alle pressioni dell'Occidente - sia di fatto una messinscena. “Una manovra diversiva” per distrarre l'attenzione dalle ultime rivelazioni del New York Times su una presunta trattativa da lui condotta sottobanco tempo fa con Paul Manafort, già uomo chiave della campagna elettorale di Donald Trump, per "vendere" Assange all'amministrazione americana in cambio di soldi e di un taglio del debito.
L’ombra dell’estradizione negli Usa
Il sospetto dei sostenitori dell'australiano è che i paletti indicati da Moreno non lo mettano per nulla al riparo da una possibile estradizione negli Usa, infuriati con lui fin dal 2010 per la diffusione - ad opera di Wikileaks - di una grossa quantità di documenti riservati imbarazzanti. Gli Stati Uniti sarebbero pronti ad accusare Assange di spionaggio, facendoselo consegnare da Londra con l'impegno a rinunciare alla pena di morte, ma non all'ergastolo.
Le accuse contro Assange
Intanto Assange rimane nell'ambasciata di Quito a Londra. Il giornalista, al momento della fuga nella sede diplomatica ecuadoriana, era inseguito da una controversa denuncia per abusi sessuali presentata in Svezia e nel frattempo archiviata. Ora resta formalmente sotto il tiro della giustizia britannica per non essersi presentato di fronte al giudice che, nel 2012, avrebbe dovuto interrogarlo su richiesta proprio della magistratura di Stoccolma. Ma il timore di Wikileaks è sempre stato quello che in realtà Londra lo voglia consegnare a Washington, dove è bollato come un “nemico pubblico”.