Asia Bibi, il caso che imbarazza Islamabad

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Gianluca Ales

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Nonostante l’assoluzione della giovane pakistana di religione cattolica accusata di blasfemia, la situazione nel paese, soprattutto per le minoranze religiose, resta difficilissima. E mette in luce le contraddizioni di un fedele alleato dell’Occidente

Asia Bibi è libera. Ma forse non è in Pakistan, oppure sì, ma in una località protetta. Chi lo sa. Certo la sua condanna a morte è stata commutata in assoluzione piena, e ora il suo percorso seguirà strade diverse da quelle giudiziarie. Quello che possiamo fare – adesso - è solo augurarle il meglio, dopo il calvario assurdo che ha vissuto.

È bene ricordarlo, per quanti non lo conoscessero.

Una storia esemplare

Asia è una giovane donna di fede cattolica. Una delle poche in Pakistan che, in lingua urdu, significa letteralmente “paese dei puri”. Non è un dettaglio puramente linguistico: nel 1948 il paese nacque dalla secessione dall’India appena decolonializzata, a tutela della crescente minoranza musulmana. Storicamente, fu la più grave sconfitta del progetto gandhiano. E con “puri”, naturalmente, si allude ai musulmani.

Questo per far capire che quando si parla di Pakistan, ci si riferisce a uno stato confessionale, dove le minoranze religiose vivono un grave clima di discriminazione.

La storia di Asia Bibi ne è un esempio. Durante il processo che portò alla sua condanna, si narra che il suo avvocato venne minacciato con una pistola alla tempia, in udienza, da un cancelliere. Il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, che si spese a suo favore, venne ucciso nel 2011 da una sua guardia del corpo proprio per questa sua posizione. Stessa fine, due settimane dopo, fece il ministro per le Minoranze religiose, Shahbaz Bhatti.

Subito dopo la notizia dell’assoluzione da parte della Corte Suprema, i fondamentalisti sono scesi in piazza con imponenti disordini.

Quanto ad Asia, ha trascorso anni un regime di rigido isolamento, in una cella piccola e sporca, e ha accusato disturbi psicologici a causa della lunga detenzione.

Solo con la pressione internazionale, le parole di Papa Benedetto e una massiccia mobilitazione è stato possibile salvare la vita alla giovane.

Il Pakistan, un alleato scomodo dell'Occidente

Ma questo non deve portarci ad abbandonare l’attenzione sul paese in cui si è svolta tutta la vicenda, un fedele alleato dell’Occidente nell’area.

“Il paese più pericoloso al mondo” lo definì l’Economist nel 2008 e non molto è cambiato dall’epoca. Anzi, non è cambiato praticamente nulla dalle dinamiche degli anni ’80, quando era la base per i Mujaheddin finanziati dagli Usa in funzione antisovietica in Afghanistan. Per chi vuole entrare nel clima, si guardi “la Guerra di Charlie Wilson”, ottimo film del 2007 con Tom Hanks.

Un paese in cui l’estremismo islamico continua a essere un interlocutore necessario della scena politica, che dà ospitalità a organizzazioni come TTP, i talebani del Pakistan, e al Clan Haqqani, protagonisti dell’insorgenza in Afghanistan. Che nel 2011 si è scoperto essere rifugio di Osama bin Laden.

Tanto per tratteggiare il contesto.

Dunque Asia Bibi è libera, e questa è la buona notizia. La cattiva è che migliaia come lei rischiano una fine peggiore.

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