Migranti, Unhcr: da gennaio oltre 2000 morti nel Mediterraneo

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L'Unhcr ha ribadito che le persone soccorse in acque internazionali, oltre le 12 miglia nautiche dalle acque territoriali libiche, non dovrebbero essere riportate in Libia (Foto: Archivio LaPresse)

Per l'Alto commissariato delle Nazioni Unite, la riduzione di navi autorizzate ai soccorsi ha provocato un aumento del numero dei decessi. La maggior parte degli annegamenti avviene sulla rotta per l'Italia, nonostante la Spagna abbia registrato più sbarchi nel 2018

Nel solo 2018 oltre duemila migranti hanno perso la vita cercando di attraversare il Mediterraneo. Lo rende noto l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), denunciando che il tasso dei decessi si è bruscamente innalzato. A settembre, tra coloro che hanno effettuato la traversata una persona ogni otto ha perso la vita, soprattutto a causa della ridotta capacità di soccorso. A tal proposito, l'Unhcr esprime "seria preoccupazione per le restrizioni legali e logistiche imposte ad alcune Ong, inclusa l'Aquarius, desiderose di condurre operazioni di ricerca e soccorso".

Più arrivi in Spagna, ma più morti sulla rotta italiana

Le ultime vittime di questo eccidio - spiega l’Alto commissariato - sono 17 migranti trovati morti questa settimana al largo delle coste spagnole. La maggior parte dei decessi, secondo i dati raccolti dall’Unhcr, è stata registrata durante gli attraversamenti verso l'Italia, con oltre la metà di tutte le morti avvenute nel 2018. L'Italia non è stata però la principale destinazione degli arrivi nel 2018: la Spagna ha infatti accolto circa 47mila persone giunte via mare, 22 mila ne sono arrivate in Italia e quasi 27 mila in Grecia. Insieme ai migranti arrivati a Cipro e Malta, il dato totale è di circa 100 mila persone che hanno raggiunto le coste europee nel 2018 e secondo l’Unhcr, segna il ritorno a livelli precedenti il 2014.

I migranti non dovrebbero essere riportati in Libia

L'Unhcr ribadisce anche la sua posizione sui migranti riportati in Libia: "Le persone soccorse in acque internazionali non dovrebbero essere riportate in Libia, che non offre le necessarie condizioni di sicurezza". Inoltre, secondo l’Alto commissariato "c'è un bisogno impellente di rompere con l'attuale impasse e con l'adozione di un approccio ad hoc per ogni imbarcazione riguardo al luogo di sbarco delle persone soccorse".  

Necessario consentire i soccorsi

Per limitare i decessi, secondo l’Unhcr, è indispensabile consentire il soccorso in mare. Le restrizioni attuate dal governo italiano sotto la spinta del ministro dell'Interno Matteo Salvini "hanno avuto infatti come effetto cumulativo l'assenza totale nel Mediterraneo centrale di imbarcazioni di Ong preposte alla ricerca e soccorso". Una situazione in cui la Libia è diventata la principale responsabile del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso, dovendo però occuparsi di un'area che si estende fino a circa 100 miglia. Motivo per il quale, secondo l’Alto commissariato, necessita di ulteriore supporto. Pur accogliendo con favore l'operato della Guardia costiera libica, dunque, l'Unhcr invoca in sostanza una maggiore presenza nel Mediterraneo dei governi europei e delle navi private.

Il rischio di nuove tragedie

"Se le operazioni di soccorso delle Ong nel Mediterraneo cessassero del tutto, rischieremmo di tornare alla stessa pericolosa situazione alla quale abbiamo assistito nel 2015, quando centinaia di persone sono morte in un incidente nel Mediterraneo centrale dopo l'interruzione dell'operazione navale italiana Mare Nostrum", afferma l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. "Ogni nave in grado di facilitare operazioni di ricerca e soccorso dovrebbe essere autorizzata a soccorrere le persone in difficoltà".

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