Caso Khashoggi, una talpa saudita in Twitter per spiare i dissidenti
MondoI servizi di Riad, secondo il "New York Times", avrebbero reclutato un ingegnere della piattaforma, poi licenziato nel 2015, e creato un esercito di utenti per screditare le voci avverse al regime
Una “fabbrica di troll” in Arabia Saudita, con una talpa all'interno di Twitter per poter spiare i dissidenti. È questo lo scenario dipinto dal New York Times, che così apre un'altra breccia nella ricerca della verità sul caso Khashoggi, il giornalista ucciso all'interno del consolato saudita a Istanbul. Un'inchiesta del giornale americano indica infatti la presenza di un "esercito digitale" incaricato di agire sul social network per screditare e sorvegliare le voci contrarie al regime.
Un infiltrato all'interno di Twitter
Una delle rivelazioni del New York Times riguarda la presenza di un presunto infiltrato in Twitter, l'ingegnere Ali Alzabarah, assunto dalla piattaforma nel 2013 e in seguito ingaggiato dai servizi sauditi. Grazie al suo ruolo, sarebbe stato in grado di rivelare a Riad alcune informazioni sui dissidenti, come numero di telefono o indirizzo IP (cioè la “targa” che identifica il dispositivo utilizzato dall'utente). I dirigenti di Twitter sarebbero stati avvertiti dall'intelligence Usa nel 2015 e avrebbero sospeso Alzabarah per avviare indagini interne. La società non avrebbe però trovato prove della sua attività. Tuttavia, per ragioni non ancora chiarite, lo ha comunque licenziato nel dicembre del 2015. Negli stessi giorni, Twitter ha inviato una mail ad alcuni utenti, avvisandoli “per precauzione” che sarebbero stati potenziali obiettivi. Tra coloro che hanno ricevuto il messaggio ci sono giornalisti, politici e attivisti, molti dei quali legati a Tor, il software che permette di navigare in modo anonimo, utilizzato (tra le altre cose) per proteggere la privacy dei dissidenti. Alzabarah - scrive il New York Times - adesso lavorerebbe per il governo saudita.
La guerra dei troll
La presunta infiltrazione di Alzabarah è però solo un tassello, per quanto importante, della presunta strategia saudita. La famiglia reale avrebbe infatti commissionato la nascita di un vero e proprio esercito di utenti per sorvegliare Twitter, il social network che è stato centrale nella primavera araba del 2010. E da allora Riad non lo perde d'occhio. Le spie digitali sarebbero “centinaia” e agirebbero in modo coordinato, ricevendo aggiornamenti (anche via WhatsApp e Telegram) sui temi più delicati del momento, elenchi di utenti da colpire e messaggi pro-governo da diffondere. Non si tratta di “bot” (cioè di macchine che animano profili finti): sono persone in carne e ossa, che quindi si muovo sul filo delle norme di Twitter. Sono specializzate nella gestione del social media e spesso reclutate con annunci di lavoro pubblicati proprio su Twitter. Dopo un primo contatto e un colloquio, ai troll governativi viene svelata la loro mansione. Ben pagata: otterrebbero infatti l'equivalente di 3mila dollari al mese. Dietro la morte di Khashoggi, quindi, ci sarebbe l'ombra di una cyberguerra. Il giornalista stava sostenendo un progetto chiamato “l'esercito delle api” che puntava proprio a creare una “brigata” di volontari pronta a combattere su Twitter contro i troll governativi e proteggere i dissidenti.