Dopo il passo indietro di David Davis, finora responsabile per Londra dei negoziati sul divorzio con l'Ue, lascia anche il ministro degli Esteri. La premier difende la sua linea e nomina il moderato Hunt, ex ministro della Sanità
È Jeremy Hunt, finora ministro della Sanità, l'uomo scelto dalla premier conservatrice britannica Theresa May per sostituire agli Esteri Boris Johnson, dimessosi in polemica con la svolta negoziale più soft sulla Brexit annunciata dall'esecutivo. Lo riferisce la Bbc.
Lasciano Davis e Johnson
May continua quindi a difendere la sua linea e reagisce così alle doppie dimissioni, del ministro per la Brexit David Davis prima, e del ministro degli Esteri, Boris Johnson poi. Anche davanti alla Camera dei Comuni, la premier ha assicurato che garantirà l'uscita dall'Ue, dal mercato unico e dall'unione doganale, ponendo anche le condizioni per una nuova partnership doganale con Bruxelles, per un libero commercio sui beni industriali e agricoli e confini aperti in Irlanda.
Raaab al posto di Davis
Al posto di Davis è stato scelto Dominic Raab, 44 anni, finora viceministro della Giustizia e in passato elemento di punta del fronte pro-Leave durante la campagna referendaria del 2016 (A CHE PUNTO SIAMO? TUTTE LE TAPPE). Raab rappresenta la leva dei giovani leoni Tory. La sua scelta è interpretata come un tentativo della May di salvare - attraverso l'ennesimo mini rimpasto - la propria poltrona e i sempre più fragili equilibri interni al governo e al Partito Conservatore, diviso tra "falchi" euroscettici e "moderati".
"Non condividevo piano May, sarei stato di troppo"
Davis, anche lui esponente di punta della corrente Tory euroscettica, dopo qualche giorno di riflessione ha deciso di non poter accettare la nuova strategia più “conciliante” nei confronti di Bruxelles che May aveva imposto al Consiglio dei ministri venerdì scorso. "Era chiaro che sarei stato di troppo", ha detto Davis alla Bbc. L'ormai ex ministro ha motivato le sue dimissioni sottolineando che "era abbastanza chiaro che io non sostenessi" il piano, considerato "troppo debole. Stiamo cedendo troppo e troppo facilmente. È pericoloso". E sul suo successore che dovrà portare avanti i negoziati con l'Ue, dice: "May ha bisogno di un ministro sulla Brexit che la aiuti a realizzare la sua strategia".
Hunt al posto di Johnson
Dopo Davis, la stessa scelta l'ha fatta Johnson, sostituito da Jeremy Hunt, considerato un Tory "moderato" sul dossier europeo, oltre che una figura leale verso la premier. Le dimissioni del ministro degli Esteri sono state annunciate da May di fronte alla Camera dei Comuni e poi confermate da Downing Street, che ha annunciato l'imminente nomina di un nuovo titolare del Foreign Office, sottolineando come May abbia "ringraziato Boris" per il lavoro svolto lasciando tuttavia intendere l'intenzione di provare ad andare ancora avanti nonostante i venti di crisi sempre più evidenti.
Ue: "Continueremo negoziati con Uk"
Sulle dimissioni di Davis "non abbiamo commenti specifici", fa sapere la portavoce della Commissione Ue Margaritis Schinas, ma "continueremo a negoziare in 'bona fide' con la premier Theresa May per raggiungere un accordo". L'addio di Johnson, invece, ha portato Jean-Claude Juncker a commentare ironicamente che l'allontanamento del ministro dimostra "chiaramente che c'era grande unità di vedute nel governo britannico". "I politici vanno e vengono, ma i problemi che hanno creato per le persone restano - ha detto invece il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk - Il caos causato dalla Brexit è il problema più grande nella storia delle relazioni tra l'Unione europea e il Regno Unito, ed è ancora molto lontano dall'essere risolto, con o senza il signor Davis".
Il compromesso proposto da May
Davis, 69 anni, finora responsabile per il governo britannico dei negoziati sul divorzio con l'Ue, aveva sottoscritto venerdì - come tutti gli altri ministri - il compromesso proposto da Theresa May per cercare di sbloccare le trattative con Bruxelles: compromesso sgradito ai “brexiteers” ultrà del suo stesso partito, considerato da qualcuno alla stregua di un “tradimento” del risultato del referendum del 2016 e improntato a un'apertura sull'ipotesi di creazione di un'area di libero scambio post Brexit - con regole comuni - almeno per i beni industriali e per l'agricoltura, oltre che alla definizione di nuove intese doganali con l'Ue. Concessioni interpretate da diversi deputati della corrente dei falchi come un cedimento, ma su cui inizialmente la premier sembrava aver ricomposto una sia pur fragile unanimità in seno al gabinetto. Unanimità ora rotta da Davis.
Verso nuove elezioni?
L'uscita di scena di Davis e Johnson rischia di essere l'inizio di un effetto domino in grado di mandare in pezzi l'esecutivo, la maggioranza e la compattezza del Partito Conservatore. Con tanto di scenario incombente di elezioni anticipate. E le reazioni non si sono fatte attendere. Con molti osservatori che danno già per scontata una sfida imminente alla leadership Tory della May. Dal fronte dei “brexititeers”, plausi al gesto “coraggioso e da uomo di principi” di Davis sono arrivati a tamburo battente da deputati come Peter Bone, Andrea Jenkyns e Harry Smith. Nell’opposizione laburista di Jeremy Corbyn - indicata in corsia di sorpasso in caso di ritorno alle urne - si guarda invece apertamente allo sbocco ravvicinato di un possibile nuovo voto entro pochi mesi. “Il Partito Conservatore è ormai nel caos”, ha commentato fra gli altri il presidente del consiglio nazionale del Labour, Ian Lavery. Né manca chi, dalla trincea dei “remainer” più irriducibili, rilancia alla fine di tutto il processo anche lo scenario di un referendum bis sulla Brexit.