Le dimissioni dei ministr Davis e Johnson sono l'ultima tappa di una difficile trattativa. Con la premier May che deve destreggiarsi tra richieste di Bruxelles e fautori nel suo governo di una linea più dura
Il piano soft della premier Theresa May nei negoziati sulla Brexit non piace a tutti all’interno del suo governo. E rischia di frantumare l'esecutivo, la maggioranza e la compattezza del Partito Conservatore: si sono dimessi infatti il ministro degli Esteri, Boris Johnson, e il ministro per la Brexit David Davis, che aveva condotto fin qui i negoziati sul divorzio con l’Unione Europea. Troppo morbida, a loro parere, la linea di Theresa May per sbloccare l'impasse nella trattativa con Bruxelles, basata su un'apertura all'ipotesi di creazione di un'area di libero scambio post Brexit - con regole comuni - almeno per i beni industriali e per l'agricoltura, oltre che alla definizione di nuove intese doganali con l'Ue. Al posto di Davis Theresa, May ha scelto Dominic Raab, 44 anni, finora viceministro della Giustizia e in passato esponente del fronte pro-Leave durante la campagna referendaria del 2016. Ma come si è arrivati a questo punto dei negoziati?
Le divisioni all’interno del governo Uk
Nel periodo successivo alla vittoria del "Leave", Theresa May ha da subito avuto una grana da risolvere: il dibattito interno ai Conservatori sulle modalità della Brexit, che ha già portato alle dimissioni del ministro Davis e Johnson e potrebbe causarle altre difficoltà nel negoziato con l'Ue. Il governo della premier è rimasto sempre diviso tra ministri e sottosegretari più euroscettici, sostenitori di una linea più dura nei negoziati con Bruxelles, e chi spinge per un’uscita dall’Ue più soft, come la premier stessa. E le divergenze tra Londra e Bruxelles restano "serie" ed "ampie", ha avvertito il capo negoziatore Ue Michel Barnier durante il Consiglio europeo del 29 giugno. Il 6 luglio May ha convocato i suoi ministri nella sua residenza di Chequers per scongiurare una frattura interna e approvare una posizione definitiva del governo britannico a Bruxelles. L’Ue ha fatto sapere di essere pronta ad addolcire la sua posizione, ma la condizione è sempre la stessa: il mercato interno non si tocca, o tutto o niente, nessuna selezione “alla carta”. Il governo May sembrava reggere, tanto che il piano della premier è stato approvato. Ma evidentemente è rimasto il malumore di alcuni ministri, tra cui il più importante per quanto riguarda la Brexit, David Davis, e quello degli Esteri Boris Johnson, che ora si sono dimessi.
La linea di May sulla Brexit “soft”
La Brexit “soft” che Theresa May intende proporre a Bruxelles prevede la creazione di un’area di libero scambio fra Regno Unito e Unione Europea e procedure “facilitate” per la circolazione di persone all’interno dell’area. La proposta prevede anche una stretta collaborazione in materia di sicurezza e “regole comuni” sui prodotti alimentari. Una linea che non piace ai “falchi” della “hard Brexit”, a favore di un abbandono da parte del Regno Unito di tutte le istituzioni e di tutti i trattati dell’Unione Europea. Di pari passo con la gestione delle grane interne, Theresa May è ora attesa dal difficile compito di convincere i leader dell’Unione Europea ad accettare la sua proposta per la Brexit. Tenendo presente che qualsiasi accordo raggiunto con l’Unione Europea dovrà poi essere votato dal Parlamento britannico.
Il referendum e l’avvio delle trattative
La questione aperta è in sostanza la disciplina di un periodo di transizione dopo la Brexit e dei futuri rapporti tra Regno Unito e Ue, dopo che il popolo britannico ha deciso per il divorzio dall'Unione Europea nel referendum del 23 giugno 2016. Contro le aspettative dei sondaggi della vigilia, che scommettevano sulla vittoria del “Remain”, cioè sulla permanenza britannica nell’Ue, il 51,89% dei votanti ha scelto il “Leave”. Il giorno successivo il primo ministro David Cameron si è dimesso. L’11 luglio 2016 è stato annunciato il nome del nuovo primo ministro: Theresa May, che è diventata la seconda donna a guidare il Paese dopo Margaret Thatcher. Si è giunti, quindi, al tempo di avviare i negoziati per la Brexit: il 29 marzo 2017 il Regno Unito ha chiesto formalmente l’avvio delle trattative con Bruxelles attraverso una lettera firmata da Theresa May all’Ue.
Il via ai negoziati
Il negoziato prende ufficialmente il via il 19 giugno. L'allora ministro britannico per la Brexit David Davis annuncia che la Gran Bretagna intende "lasciare il mercato unico e l'unione doganale". Il 10 novembre 2017 arriva anche l’annuncio della precisa data (e ora) in cui il Regno Unito sarà formalmente fuori dall'Unione Europea. Come annunciato da Theresa May, il “Leave” della Gran Bretagna si concretizzerà alle ore 23 del 29 marzo 2019, quando cioè in Italia sarà scattata la mezzanotte del 30 marzo 2019. L’8 dicembre 2017 viene raggiunto l’accordo sulla Brexit tra Regno Unito e Ue. Il passo successivo sarà stabilire le modalità di un periodo di transizione per ammorbidire l’uscita del Regno Unito. Theresa May spiega che l’accordo "garantisce i diritti di oltre 3 milioni di cittadini Ue che vivono in Gran Bretagna”. Il Regno Unito chiede un periodo transitorio di due anni in cui rimanere membro dell'Unione doganale e del mercato interno, l’Ue risponde che ciò può avvenire a patto che Londra rispetti una serie di condizioni.
La bozza di accordo: i diritti dei cittadini Ue nel Regno Unito
Il 19 marzo 2018 l’Unione Europea e il Regno Unito fanno sapere di aver trovato una bozza di accordo per disciplinare la Brexit. I punti principali: i diritti dei cittadini europei che vivono nel territorio britannico e dei cittadini britannici che vivono all’interno dell’Unione, il cosiddetto periodo di transizione successivo all’uscita del Regno Unito prevista per il 29 marzo 2019 e il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. Secondo la bozza, entrambe le categorie di cittadini manterranno il diritto di restare nel territorio “ospite” se ci abitano da più di cinque anni, e che durante il periodo di transizione i cittadini dell’Unione Europea che si trasferiranno nel Regno Unito avranno gli stessi diritti di quelli arrivati prima. Un punto fondamentale delle trattative per i tanti italiani che si sono trasferiti e vivono attualmente nel Regno Unito.