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Trump: ambasciata Usa a Gerusalemme. Papa: serve dialogo con Palestina

Mondo
Gerusalemme (Ansa)

Fonti dell'amministrazione Usa confermano la decisione di spostare la sede da Tel Aviv alla Città Santa. Palestinesi annunciano “tre giorni di collera”

La conferma del riconoscimento da parte degli Stati Uniti di Gerusalemme quale capitale di Israele, con il conseguente spostamento dell'ambasciata da Tel Aviv, arriverà nelle prossime ore di mercoledì 6 dicembre. Nel frattempo, il presidente Donald Trump precisa però che non si tratta di una presa di posizione politica, bensì della constatazione di “una realtà storica e attuale”.

La posizione Usa

A confermare la svolta nella politica statunitense sono fonti interne all'amministrazione Usa. Che ricordano come la decisione sia il frutto di una promessa avanzata da tempo e che lo stesso Trump insiste vada mantenuta. Per la Casa Bianca, insomma, si tratta di una “constatazione dell'ovvio”, sganciata dal processo di pace su cui continua ad esprimere “immutata determinazione”: “A lungo la posizione degli Stati Uniti ha mantenuto questa ambiguità – dicono le fonti – Quindi, dopo aver provato questa strada per 22 anni, una constatazione della realtà rappresenta un cambiamento importante”.  

Truppe Usa al confine

Il trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme però – sottolineano le medesime fonti – non avverrà nell'immediato: si tratta di un processo destinato a spalmarsi negli anni, e sicuramente nei prossimi mesi la sede diplomatica resterà a Tel Aviv. Nel frattempo, però – secondo quanto riporta la Cnn – “un limitato numero di truppe” statunitensi è stato riposizionato nei Paesi dove si temono disordini in vista dell'annuncio del riconoscimento della Città Santa come capitale di Israele. Sempre su Gerusalemme, nei giorni scorsi, c'era stata anche una polemica che aveva interessato anche il Giro d'Italia.  

Le reazioni del mondo arabo

Di conseguenze “gravissime e incontrollabili” hanno parlato tutte le diplomazie arabe e l'Europa. La stessa Casa Bianca riconosce che “alcune parti” potrebbero reagire negativamente, e lo schieramento delle truppe lo conferma. I palestinesi hanno già proclamato “tre giorni di collera” da mercoledì fino a venerdì, definendo la politica di Trump “un ricatto”. In reazione alla notizia, il dipartimento di Stato Usa ha invitato i cittadini americani a evitare i luoghi affollati e consentendo “solo viaggi ufficiali essenziali, con misure di sicurezza addizionali, nella Città Vecchia di Gerusalemme e nella West Bank”.

Il Papa: dialogo e rispetto reciproco

Sulla questione è intervenuto anche Papa Francesco. “Il dialogo - ha detto il pontefice rivolgendosi alle personalità religiose palestinesi che partecipavano alla riunione del Comitato permanente per il dialogo presso la Santa Sede - si instaura a tutti i livelli: con se stessi, attraverso la riflessione e la preghiera, in famiglia, all'interno della comunità religiosa, tra le diverse comunità religiose e anche con la società civile”. “La sua condizione primaria - e questo è sicuramente il passaggio di maggiore attualità del discorso del papa - è il rispetto reciproco e, nello stesso tempo, bisogna mirare a consolidare questo rispetto al fine di riconoscere a tutte le persone, ovunque si trovino, i loro diritti". Anche i leader cristiani della città hanno espresso parere negativo. Una lettera inviata al presidente degli Stati Uniti da nove responsabili delle chiese cristiane, tra cui Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino, e padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa, esprime i loro dubbi: "Aumenteranno l'odio, il conflitto, la violenza e le sofferenze a Gerusalemme e in Terra Santa. Il nostro consiglio è di continuare a riconoscere lo status quo a Gerusalemme. Ogni cambiamento improvviso provocherebbe danni irreparabili".

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