Trump: ambasciata Usa a Gerusalemme. Forse slitta lo spostamento

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La decisione degli Stati Uniti di trasferire nella Città santa l’ambasciata, che sarà annunciata a breve, fa salire i toni nel mondo arabo e non solo. Giro di telefonate tra il presidente Usa e altri leader

Lo spostamento ci sarà, ma non prima di sei mesi. La decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme capitale unica di Israele, trasferendo nella Città santa la propria ambasciata, fa salire la tensione nel mondo arabo e non solo. Nonostante il pressing degli alleati, il presidente Donald Trump sembra non avere dubbi o ripensamenti: in una fitta serie di telefonate, ha annunciato la sua scelta. Prima di tutto ai diretti interessati, il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il leader dell'Autorità palestinese Abu Mazen. "Ci sarà un annuncio ufficiale" ha confermato la portavoce della Casa Bianca ma sembra che l'ambasciata non sarà trasferita prima di 6 mesi. Sembra infatti che il presidente abbia deciso di lasciare per almeno altri sei mesi l'ambasciata a Tel Aviv firmando la sospensione del "Jerusalem Embassy Act", la legge approvata dal Congresso nel 1995.

Abu Mazen chiama Putin

Abu Mazen ha ammonito Trump “dei pericoli della sua decisione sul processo di pace, sulla sicurezza e la stabilità nella regione e nel mondo”. Ha anche ribadito che “non ci può essere nessuno Stato palestinese senza Gerusalemme est come capitale”. Il presidente palestinese ha poi telefonato al presidente russo Vladimir Putin, informandolo “sulle minacce per la città di Gerusalemme”. “Occorre muoversi immediatamente – avrebbe spiegato Abu Mazen - per proteggere Gerusalemme e i suoi santuari islamici e cristiani che sono esposti a rischi”.

Telefonata tra Abu Mazen e il Papa

A niente, dunque, sono valse le fortissime preoccupazioni espresse dagli alleati arabi ed europei, che hanno sommerso la Casa Bianca di appelli alla prudenza, inviando al presidente americano un chiaro messaggio: non si può scherzare col fuoco, con la regione mediorientale pronta a esplodere. In campo anche Papa Francesco, che ha parlato al telefono con Abu Mazen. Una telefonata, ha detto il portavoce della Santa Sede Greg Burke, avvenuta “per iniziativa” di Abu Mazen.

I prossimi passi

La mossa della Casa Bianca, una delle solenni promesse fatte durante la campagna elettorale, era attesa già lo scorso fine settimana. Proprio le reazioni dei governi amici, messi al corrente del piano di Trump dagli ambasciatori Usa, l'hanno fatta slittare, spingendo l'amministrazione a rivedere per l'ennesima volta ogni minimo dettaglio. L’annuncio ufficiale arrivarà mercoledì 6 dicembre. L'ipotesi più probabile è quella di una dichiarazione di principio da parte del presidente Trump cui non seguirebbe un immediato trasloco dell'ambasciata Usa. Ambasciata che, come tutte le altre rappresentanze diplomatiche, si trova da decenni a Tel Aviv, visto che ad oggi Gerusalemme, città santa per tre religioni, non è riconosciuta come capitale d'Israele da parte della comunità internazionale. Con i palestinesi che rivendicano il settore Est della città come capitale del loro futuro Stato.

Le possibili conseguenze

Perché si passi dalle parole ai fatti, quindi, potrebbero volerci ancora dei mesi, almeno altri sei, se non degli anni. Ma l'annuncio di Gerusalemme capitale potrebbe già provocare dei danni incalcolabili, con lo spettro di una nuova sanguinosissima intifada dietro l'angolo. Il rischio concreto è quello di un vero e proprio terremoto in Medio Oriente e di un'ondata di violenze contro Israele e contro gli interessi americani. Senza escludere - avvertono gli 007 Usa - un'escalation del terrorismo internazionale. Tutti i principali gruppi palestinesi hanno già dato il via libera alla protesta, annunciando “tre giornate della collera” fino a venerdì. E il sistema di difesa israeliano si prepara per una “possibile rivolta violenta”, con la polizia, lo Shin Bet e il comando centrale dell'esercito in stato di massima allerta.

Le reazioni

Dai Paesi arabi all'Europa, intanto, è un coro di no a Trump. Il re di Giordania Abdallah e il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi hanno espresso telefonicamente al presidente americano tutta la loro contrarietà, mettendolo in guardia dalle conseguenze pericolose in tutta la regione. Anche per l'Arabia Saudita cambiare i diritti dei palestinesi sullo status di Gerusalemme porterà ad un'esasperazione dei sentimenti dei musulmani in tutto il mondo. Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele "rappresenterebbe una flagrante provocazione per i musulmani in tutto il mondo", ha detto il re saudita Salman bin Abdulaziz Al Saud a Trump sempre per telefono. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha avvertito la Casa Bianca che l'eventuale riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta “una linea rossa per i musulmani” e potrebbe portare alla rottura delle relazioni diplomatiche della Turchia con lo Stato ebraico.

La preoccupazione dell’Europa

Le stesse preoccupazioni arrivano dalle cancellerie europee. Da Parigi e Berlino si ribadisce in maniera compatta come l'unica strada da seguire per risolvere la questione mediorientale sia quella dei due Stati. “La questione dello status di Gerusalemme dovrà essere risolto nel quadro dei negoziati di pace fra israeliani e palestinesi", il monito del presidente francese Emmanuel Macron. Forti perplessità anche dalla Farnesina. “Non si può retrocedere dalla soluzione a due Stati. Guardiamo con grande preoccupazione tutti i fatti e tutte le decisioni che sembrano contraddire la strada che la comunità internazionale ha imboccato da tanto, troppo tempo senza vedere il traguardo", afferma il ministro degli Esteri Angelino Alfano. Stessa linea dell'Alto rappresentante Ue Federica Mogherini: "L'Ue sostiene la ripresa di un significativo processo di pace verso la soluzione dei due Stati". “È come gettare benzina sul fuoco. La situazione può diventare davvero esplosiva”, ha avvertito il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn. E l’omologo tedesco Sigmar Gabriel ha aggiunto: sarebbe “uno sviluppo molto pericoloso, è nell’interesse di tutti che non accada”.

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