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La nuova stretta sugli ingressi negli Stati Uniti riguarda 8 Paesi

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Con quelle precedenti in scadenza, l’amministrazione Trump annuncia nuove misure. Riguardano Iran, Somalia, Libia, Yemen, Siria, Ciad, Corea del Nord, Venezuela. Mentre dilaga la protesta degli sportivi, altre polemiche su Kushner: avrebbe usato un account email privato

L’amministrazione Trump ha annunciato una nuova stretta sugli ingressi negli Stati Uniti. Le misure riguardano otto Paesi: Iran, Somalia, Libia, Yemen, Siria, Ciad, Corea del Nord e Venezuela. Rispetto al vecchio bando, quindi, esce dalla lista il Sudan e compaiono Ciad, Corea del Nord e Venezuela. Le restrizioni non riguardano chi già possiede un visto Usa.

Vecchio bando in scadenza

Le nuove misure arrivano quando l'ultimo bando di tre mesi fa, che ha provocato polemiche in Usa e fuori, era in scadenza. Il Dipartimento per la sicurezza interna aveva chiesto al presidente Trump di firmare una nuova serie di restrizioni per chi arriva negli Usa da Paesi stranieri che si rifiutano di condividere informazioni con gli Stati Uniti o che non hanno ancora adottato precauzioni giudicate sufficienti sul fonte della sicurezza. A differenza del vecchio provvedimento, che ha creato caos negli aeroporti e che è stato contestato dalle Corti federali, i funzionari sostengono di aver lavorato per mesi alle nuove misure in collaborazione con le agenzie e con i governi stranieri e di essere arrivati a misure a prova di bocciatura.

Kushner e l'account email privato

Nuove polemiche, intanto, si abbattono sul presidente e sul suo staff. Secondo Politico, infatti, Jared Kushner avrebbe usato un account email privato per comunicare con altri alti responsabili dell'amministrazione Trump, contravvenendo all'obbligo di ricorrere solo alla email governativa ufficiale. Kushner è il genero di Trump e uno dei suoi più stretti consiglieri, già tirato in ballo nella questione Russiagate. L'account privato sarebbe stato utilizzato decine di volte da quando Kushner è entrato a far parte in gennaio dello staff della Casa Bianca, in parallelo a quello ufficiale. Donald Trump ha costruito gran parte della sua campagna elettorale proprio sulle accuse mosse a Hillary Clinton per la vicenda del cosiddetto “emailgate”, con l'ex first lady accusata di avere un account privato quando era segretario di Stato e di aver così messo in pericolo la sicurezza nazionale. L’Fbi ha poi concluso che la Clinton non aveva commesso alcun reato, pur essendo stata imprudente, ma sono in molti a pensare - lei per prima - che l'emailgate le è costato la Casa Bianca.

La protesta degli sportivi

Come se non bastasse, Trump deve fare i conti anche con la protesta dello sport americano. Dopo le star Nba Spephen Curry e Lebron James e dopo l’asso del baseball Bruce Maxwell, i giocatori dei Jacksonville Jaguars e dei Baltimore Ravens, (due team della lega professionistica di football) si sono tutti messi in ginocchio durante l'inno nazionale in segno di sfida a Trump. La stessa scena si è ripetuta su tutti gli altri campi in cui si è giocata la giornata di campionato. La rivolta è stata appoggiata dalla Lega. Con una serie di tweet, Trump aveva chiesto di boicottare le partite e di cacciare via dai campi di football i giocatori che per protesta si inginocchiano e non cantano l'inno.

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