Snowden: “In Usa non posso avere un giusto processo”

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Edward Snowden - Getty Images
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L’informatore che ha rivelato lo scandalo delle intercettazioni di massa ha risposto alle domande poste via Twitter. “La sorveglianza ci rende meno liberi”, ha detto. “Ora lo pensa anche Obama”

di Raffaele Mastrolonardo

Fiducioso nei valori americani. Pessimista su un suo possibile ritorno in patria a breve. E convinto che solo un movimento globale possa mettere fine agli abusi dei programmi di sorveglianza di massa. Rispondendo giovedì 23 gennaio alle domande poste dagli utenti via Internet Edward Snwoden, la fonte che ha svelato il cosiddetto datagate, non si è certo trattenuta. Anzi, ha ribadito le sue accuse ad un sistema di spionaggio elettronico giudicato ormai fuori controllo e si è preso la soddisfazione di dichiarare che, in fondo, anche Barack Obama è ormai d’accordo con lui. “Persino il presidente - ha detto - ora pensa che i nostri programmi di sorveglianza si sono spinti troppo in là, raccogliendo grandi quantità di informazioni private su semplici cittadini che non sono mai stati sospettati di alcun crimine”.

Il presidente e il fuggitivo - L’intervista collettiva (gli utenti potevano inviare domande via Twitter attraverso l’hashtag #AskSnowden è caduta giusto una settimana dopo il discorso del presidente sulla riforma della National Security Agency. Un intervento, quello di Obama, che Snowden ha considerato come una lieve concessione verso le sue posizioni, così come ha accolto con soddisfazione il rapporto del  Privacy and Civil Liberties Oversight Board (PCLOB) nel quale si legge che la raccolta di dati telefonici è illegale e che gli effetti di questa attività sulla prevenzione del terrorismo sono stati minimi. “Non c’è giustificazione per continuare una politica incostituzionale che ha un tasso di successo dello 0%”, ha commentato riferendosi al documento.


Casa dolce casa - Nonostante il dibattito innescato dalle sue rivelazioni sia sempre più ampio, la sua situazione personale comunque non cambia. Un rientro a casa, per quanto auspicato, pare al momento impensabile. “Ritornare negli Stati Uniti sarebbe la migliore soluzione per il governo, l’opinione pubblica e me stesso, - ha detto - ma sfortunatamente non è possibile sotto l’attuale legge di protezione degli informatori, che non copre coloro che, come me, lavorano per delle aziende a cui sono stati appaltati pezzi di sicurezza nazionale”. In patria, ha aggiunto,  “non c’è speranza di avere un giusto processo”. Tuttavia si è detto fiducioso che, appoggiandosi ai valori americani, sia possibile “cambiare le leggi” e “limitare l’invadenza delle agenzie governative”.


Osservati, dunque meno liberi - Reagendo agli spunti degli utenti di Twitter l’ex contrattista della NSA ha poi chiarito quali sono per lui i danni maggiori derivanti dai sistemi di monitoraggio di massa, a cominciare dall’impatto sul comportamento dei cittadini. “Quando sappiamo di essere osservati agiamo meno liberamente il che significa che in effetti siamo meno liberi”. Ma l’aspetto peggiore, ha aggiunto, è di natura tecnica e giuridica, e consiste nella conservazione dei dati che ci riguardano e che in futuro potrebbero essere usati contro di noi: “Questo rende possibile la cosiddetta “indagine retroattiva”, per cui una volta che finisci sotto il mirino del governo, [le autorità] hanno un quadro molto completo delle tue attività quotidiane per un periodo che, secondo le leggi attuali, si estende fino a cinque anni. Tu puoi anche non sapere dove sei andato a cena il 12 giugno del 2009 ma il governo lo sa”. Nonostante tutto, Snowden non pensa però che le attività di spionaggio siano da condannare in blocco. Anzi, a suo dire, l’intelligence è formata da “buone persone che provano a fare la cosa giusta” e che sono “preoccupate per le stesse cose per cui lo ero io”. Quello che l’uomo del datagate auspica dunque è un ritorno ad una sorveglianza mirata (“quella che abbiamo sempre fatto”) e, soprattutto, una presa di coscienza della dimensione mondiale del problema che porti a soluzioni su scala internazionale. “Abbiamo bisogno di un forum globale e di fondi globali diretti allo sviluppo di standard di sicurezza che garantiscano il nostro diritto alla privacy non attraverso la legge ma attraverso la scienza e la tecnologia”.


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