Israele sfida l’Onu con nuove colonie, Usa irritati

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Dopo il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro, il governo dello stato ebraico autorizza la costruzione in Cisgiordania di 3mila nuovi alloggi. Casa Bianca: “Iniziativa controproducente che ostacola la ripresa dei negoziati”

Una reazione irritata, di sfida al mondo. A poche ore dal voto dell'Onu sulla Palestina e dalla 'vittoria personale' che Abu Mazen prova a gestire lanciando messaggi almeno in parte concilianti, i nove principali ministri del governo israeliano hanno autorizzato la costruzione in Cisgiordania di 3.000 nuovi alloggi per coloni. Una decisione che ha suscitato la reazione immediata ed indignata di Hanan Ashrawi (del Comitato esecutivo dell'Olp) secondo cui essa "rappresenta un'aggressione israeliana contro uno Stato (la Palestina, ndr) e il mondo deve assumersi le proprie responsabilità”. Parole di biasimo sono giunte verso il governo israeliano persino dall'alleato Usa (è una iniziativa "controproducente" che ostacola la ripresa dei negoziati, ha tagliato corto la Casa Bianca), che pure il 29 novembre alle Nazioni Unite aveva fatto il possibile per arginare la vistosa 'debacle' diplomatica dello Stato ebraico.

Nei confronti di Benyamin Netanyahu e del suo ministro degli Esteri Avigdor Lieberman i quotidiani indipendenti israeliani sono impietosi. Il premier, scrive Yediot Ahronot, "non ha saputo valutare la collera maturata verso Israele nel mondo", cosa che lo ha trascinato a "un fallimento politico". Secondo Haaretz, il voto a Palazzo di Vetro rappresenta un segnale evidente, in particolare da Paesi amici di Israele, che "la pazienza verso l'occupazione dei Territori è terminata, che non se ne può più dei progetti di costruzione nelle colonie accompagnati da dichiarazioni puramente verbali su una presunta 'mano tesa' ai palestinesi". Il giornale riferisce dello "sbigottimento" diffusosi fra gli stessi funzionari del ministero degli Esteri nell'apprendere, a poche ore dal voto, che la Germania e l'Italia avevano mutato avviso: la prima astenendosi, la seconda votando a favore della Palestina. "Abbiamo perso l'Europa", è sbottato un alto diplomatico, citato anonimamente dalla stampa. Haaretz ironizza poi sul viceministro degli Esteri israeliano, il 'falco' Dany Ayalon, che ha informato a modo suo i giornalisti di quanto accaduto a New York millantando "la sconfitta storica subita dai palestinesi". Un tono che il giornale liberal israeliano paragona irridente a quello di anni lontani del ministro per l'Informazione di Saddam Hussein, in grado di attribuire immaginari trionfi al regime baathista iracheno mentre a Baghdad i primi blindati statunitensi già comparivano alle sue spalle.

Ma a meno di due mesi dal voto anticipato del 22 gennaio 2013, Netanyahu e Lieberman (ormai uniti da un patto elettorale di ferro) non sembrano comunque disposti a dare segni di 'debolezza'. E, malgrado il fine settimana di riposo, hanno voluto dimostrare che il loro governo non fa passi indietro. Hanno così celermente autorizzato la costruzione di 3.000 nuovi alloggi nella zona di Maaleh Adumin (città-colonia a Est di Gerusalemme) e hanno anche fatto trapelare di aver ripreso in mano il progetto 'E-1': un progetto concepito nel 1995 dal governo laburista di Yitzhak Rabin, ma poi archiviato per le pressioni internazionali, che prevede di fatto la fusione del tessuto urbano di Gerusalemme, ben oltre il settore orientale a maggioranza araba della Città Santa, con Maaleh Adumim: ossia la costituzione di un 'cuneo' che separerebbe la Cisgiordania del nord (la Samaria biblica) dalla meridionale (l'antica Giudea). Fra le righe sembra dunque montare la determinazione ad andare ad un confronto aperto con la 'nuova Palestina' di Abu Mazen. Anche a dispetto dei timidi segnali di buona volontà che il rais ha provato a lanciare, dopo la polemica al calor bianco del 29 novembre dalla tribuna di Palazzo di Vetro: assicurando da New York di non voler ricorrere alla Corte penale internazionale (Cpi) contro Israele, salvo in caso di palese "aggressione" militare; e aprendo alla riapertura di un negoziato diretto solo a patto che lo Stato ebraico fermi quella colonizzazione che per ora la sua leadership mostra di voler continuare a estendere.

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