Kosovo, 4 anni di indipendenza. Ancora tanta strada da fare

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Il 17 febbraio 2008 Pristina proclamò la propria indipendenza dalla Serbia. Sino ad oggi 87 Paesi hanno riconosciuto lo status del paese dei Balcani. Il ricordo e le speranze di due giovani kosovari

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di Pamela Foti

“Io e la mia famiglia eravamo a Pristina. Avevo 14 anni. Fuori faceva molto freddo ma la gente non riusciva ad aspettare chiusa in casa e aveva deciso di radunarsi nei bar. Erano tutti affollati, c’era gente ovunque eppure non volava una mosca. Ricordo quel silenzio surreale: fissavamo tutti la televisione in attesa di notizie dal Parlamento. Quando poi il premier Hashim Thaci ha letto la dichiarazione di indipendenza del Kosovo è scoppiato un grido liberatorio. Ci siamo abbracciati e abbiamo mangiato la torta dell’indipendenza. In vita mia non ne avevo mai visto una così grande”.
Franceska ricorda così il 17 febbraio 2008. Il Kosovo infatti festeggia oggi il quarto anniversario dell’indipendenza dalla Serbia. "Stai diventando grande Kosovo  - scrive su Facebook la giovane studentessa all'ultimo anno di liceo - tra due anni andrai finalmente a scuola".
“Erano le 15.39 – racconta Ilir, che oggi ha 29 anni - Io ero a casa con mia mamma. Ero emozionato, agitato. Subito dopo le parole del premier abbiamo tagliato una torta. E’ stato molto emozionante. Era l’inizio di una nuova vita. E ancora più emozionante è stato iniziare a contare i Paesi che a poco a poco hanno riconosciuto l’indipendenza del mio Paese".

Il Kosovo è stato riconosciuto finora da 87 Stati (sui 192 rappresentati all'Onu), fra i quali Usa e Italia. Non l'hanno fatto Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia, oltre alla Russia e alla Serbia, che continua a considerare il Kosovo una sua provincia meridionale. Le tensioni tra l’etnia serba e quella kosovara non si sono mai sopite dopo il conflitto che nel 1999 ha portato all’intervento della Nato: 78 giorni di bombardamenti aerei sulla Serbia contro il regime di Slobodan Milosevic accusato di genocidio nei confronti del popolo kosovaro.
La scorsa estate proprio nella regione a Nord del paese, abitata in prevalenza da cittadini di nazionalità serba si è riaccesa la protesta: i serbi hanno eretto delle barricate per protestare contro la presa di controllo di doganieri kosovaro-albanesi dei posti di frontiera di Jarinje e Brnjak. A fine luglio, le due postazioni sono state teatro di scontri quando estremisti serbi del Kosovo avevano attaccato i posti di blocco, causando la morte di un poliziotto. Un duro scontro che ha richiesto l’intervento dei militari della forza Nato in Kosovo (Kfor).

Due giorni fa, inoltre, in quattro comuni del nord del Kosovo a maggioranza serba,si è tenuto un referendum sulla legittimità degli organi di potere di Prisitna. Il risultato, scontato, ha visto il 99,7% degli elettori respingere la sovranità del governo kosovaro. Un risultato che ha messo in imbarazzo il governo serbo. Belgrado è infatti impegnata con tutte le forze da un lato a migliorare per quanto possibile la situazione generale in Kosovo, dall'altro a progredire verso l'integrazione europea, a cominciare dallo status di Paese candidato che la Serbia si aspetta dal vertice europeo del primo marzo prossimo. E una chiara condanna della consultazione è arrivata anche dalla Ue a Bruxelles, dove la portavoce di Catherine Ashton, Maja Kocijancic, ha detto che "il referendum non è la soluzione" ai problemi del Kosovo, che va cercata invece con il dialogo e il compromesso. Il prossimo round di negoziati fra Belgrado e Pristina è stato fissato oggi al 21 febbraio, con all'ordine del giorno la spinosa questione delle modalità di partecipazione del Kosovo ai forum regionali e internazionali.

Oggi, a 12 anni di distanza dal conflitto armato riguardante lo status della provincia autonoma serba del Kosovo, allora compresa nell'ex Repubblica Federale di Jugoslavia, serbi e kosovari devono ancora fare i conti con il proprio passato. E centinaia di famiglie attendono di sapere cosa sia successo ai loro cari. Sono circa 1800, infatti, le persone scomparse nel nulla dal 1998, anno di inizio delle rappresaglie. Sono sia kosovari sia serbi, per la maggior parte uomini e spesso civili. Persone vittime di violenze e abusi i cui corpi non sono ancora stati ritrovati o identificati, ma che continuano ad essere cercati dagli esperti del Dipartimento di Indagini Forensi dell'Eulex, la missione europea in Kosovo, impegnati nell'individuazione di nuove fosse comuni.

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