Petizioni online, in Gran Bretagna Cameron rischia l’autogol
MondoLa piattaforma web nata per raccogliere le mozioni dei cittadini e farle discutere dal Parlamento sta creando un bel po' di grattacapi al premier inglese. Che ora pensa a una retromarcia. Che non è affatto facile…
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Sembrava troppo facile. Un bel sito per raccogliere petizioni online sponsorizzato dal governo; una soglia di votanti con cui filtrare le mozioni; la possibilità per il Parlamento di discutere le raccolte di firme più consistenti. Ed ecco conclusa l'operazione e-democracy. Purtroppo però quello che doveva funzionare come un sistema win win, in grado di portare benefici sia all'esecutivo che alla cittadinanza, si è rivelato un boomerang. Tanto da indurre i politici a considerare una ingloriosa retromarcia.
GRATTACAPI - Il primo ministro britannico David Cameron – che verso la Rete già in passato ha mostrato una certa ambivalenza - sta infatti pensando a come smorzare l'impatto del sito di petizioni online che lui stesso aveva lanciato nell'agosto 2010, in un tripudio di retorica sulla trasparenza online e la democrazia elettronica. E che ora gli sta dando più di un grattacapo.
Il problema principale deriva dal contenuto stesso delle richieste provenienti dal basso: perché una volta che approdano alla Camera molti deputati, per convinzione o timore di deludere il proprio elettorato, decidono di sostenerle, anche quando divergono dalle decisioni dell'esecutivo. E così lo scorso ottobre il parlamento ha sì respinto la richiesta di indire un referendum sull'Unione Europea, ma anche grazie al sostegno del partito laburista (che sta all'opposizione), perché molti deputati conservatori l'avevano invece appoggiata. Mentre, pochi giorni fa, Cameron ha dovuto sedare una ribellione di parlamentari Tories che avevano sposato una petizione contro il rincaro della benzina.
GESTIONI COMPLESSE - Ma la formula dell'e-petitions sta anche generando ulteriori malumori. A partire dal modo in cui sono discusse le raccolte di firme che superano il tetto prestabilito delle 100 mila: varcata quella soglia infatti sono prese in carico da una commissione parlamentare sulla cui discrezionalità non sono mancate polemiche. I sostenitori della petizione contro l'estradizione di Babar Ahmad, cittadino britannico sospettato di terrorismo islamico e detenuto da 6 anni senza processo, hanno ad esempio accusato il Parlamento di aver affossato il dibattito sulla vicenda, malgrado le 140mila firme raccolte. Così Downing Street sta pensando a come disinnescare questa bomba a orologeria. Un'ipotesi è di alzare il tetto delle firme necessarie per far arrivare le petizioni in Parlamento, portandolo a 150 mila. Un'altra è di cambiare le modalità con cui queste mozioni popolari sono gestite e dibattute dalle camere, in modo da snellire (e depotenziare?) il processo decisionale. Ma c'è anche chi, come la deputata del Labour Natascha Engel, pensa che il parlamento dovrebbe essere più reattivo di fronte alle richieste provenienti dal basso, altrimenti il rischio è di deludere i cittadini.
POPULISMO? - Ovviamente nessuno dimentica che la possibilità di scivolare nel populismo è dietro l'angolo, come dimostra la recente campagna del Daily Mail contro l'immigrazione che in poco tempo ha spinto la corrispondente petizione oltre la soglia dei 100 mila consensi. Insomma, l'esperimento avanzato di democrazia online si è trasformato in una ben più prosaica patata bollente. Chissà cosa ne pensano gli strateghi digitali della Casa Bianca, che proprio sulla scia del sito britannico lo scorso settembre hanno lanciato We The People, piattaforma di petizioni online che poi dovrebbero arrivare sulla scrivania del presidente Obama. Un fatto è certo: hanno già messo le mani avanti. Sul sito statunitense è infatti spiegato come la soglia di firme per filtrare le petizioni sarà soggetta a variazioni, perché in fondo si tratta di un esperimento. Dunque si parte con un tetto piuttosto basso (25 mila firme in 30 giorni) ma c'è da scommettere che presto l'asticella verrà alzata.
I PRECEDENTI - In ogni caso, bisogna dire che le petizioni online non portano bene ai premier britannici: prima di Cameron anche Tony Blair ci aveva provato, col risultato di inimicarsi milioni di elettori dopo aver respinto raccolte di firme molto corpose, come quella sul piano di revisione delle tariffe stradali. Evidentemente anche l'e-democracy non è proprio un pranzo di gala.
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GRATTACAPI - Il primo ministro britannico David Cameron – che verso la Rete già in passato ha mostrato una certa ambivalenza - sta infatti pensando a come smorzare l'impatto del sito di petizioni online che lui stesso aveva lanciato nell'agosto 2010, in un tripudio di retorica sulla trasparenza online e la democrazia elettronica. E che ora gli sta dando più di un grattacapo.
Il problema principale deriva dal contenuto stesso delle richieste provenienti dal basso: perché una volta che approdano alla Camera molti deputati, per convinzione o timore di deludere il proprio elettorato, decidono di sostenerle, anche quando divergono dalle decisioni dell'esecutivo. E così lo scorso ottobre il parlamento ha sì respinto la richiesta di indire un referendum sull'Unione Europea, ma anche grazie al sostegno del partito laburista (che sta all'opposizione), perché molti deputati conservatori l'avevano invece appoggiata. Mentre, pochi giorni fa, Cameron ha dovuto sedare una ribellione di parlamentari Tories che avevano sposato una petizione contro il rincaro della benzina.
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POPULISMO? - Ovviamente nessuno dimentica che la possibilità di scivolare nel populismo è dietro l'angolo, come dimostra la recente campagna del Daily Mail contro l'immigrazione che in poco tempo ha spinto la corrispondente petizione oltre la soglia dei 100 mila consensi. Insomma, l'esperimento avanzato di democrazia online si è trasformato in una ben più prosaica patata bollente. Chissà cosa ne pensano gli strateghi digitali della Casa Bianca, che proprio sulla scia del sito britannico lo scorso settembre hanno lanciato We The People, piattaforma di petizioni online che poi dovrebbero arrivare sulla scrivania del presidente Obama. Un fatto è certo: hanno già messo le mani avanti. Sul sito statunitense è infatti spiegato come la soglia di firme per filtrare le petizioni sarà soggetta a variazioni, perché in fondo si tratta di un esperimento. Dunque si parte con un tetto piuttosto basso (25 mila firme in 30 giorni) ma c'è da scommettere che presto l'asticella verrà alzata.
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