Londra, nessuna censura anti-riots per Facebook e BlackBerry

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Un'immagine degli scontri avvenuti negli scorsi mesi in Gran Bretagna - Kikapress.com
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Durante gli scontri, il premier Cameron aveva proposto di monitorare o addirittura chiudere i social network. Ma un incontro con le aziende "incriminate" e l'accusa di reagire come i regimi orientali, hanno fatto prevalere la linea morbida

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di Carola Frediani

Alla fine hanno vinto i social media. Il governo britannico ha fatto retromarcia rispetto all’iniziale proposito di intervenire sulle piattaforme di socializzazione online, come Facebook e Twitter, cacciando chi fosse sospettato di partecipare a tumulti e riots. L’idea di un giro di vite su questi network era stata espressa dallo stesso premier David Cameron, e ripresa con maggior determinazione da altri deputati conservatori, alcuni dei quali – come Louise Mensch – erano arrivati al punto di chiedere la chiusura totale di questi siti durante le emergenze nazionali.

Ma all’incontro avvenuto tra i rappresentanti del governo di Londra e quelli di Twitter, Facebook e RIM  - l’azienda produttrice del BlackBerry, che con il suo sistema di messaggistica privato era tra i principali imputati delle rivolte che hanno scosso la Gran Bretagna questa estate - sono è prevalsa una linea morbida.
Alla fine, il segretario di Stato per gli Affari Interni, Theresa May, ha dichiarato che l’esecutivo non intende “limitare i servizi internet” né aumentare i propri poteri al riguardo. Piuttosto, le parti al tavolo sembrano aver concordato sull’idea di cercare maggiore collaborazione per prevenire l’utilizzo criminale dei social network. “Siamo contenti che il dialogo sia stato su come lavorare assieme per la sicurezza delle persone piuttosto che su come imporre restrizioni sull’uso dei servizi”, ha commentato la portavoce di Facebook.

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Anche perché la linea dura sui social media inizialmente proposta dal governo di Londra aveva sollevato non poche critiche. “Non far compagnia ai Paesi che hanno censurato i social network durante la primavera araba”, aveva esortato ad esempio al New York Times Jo Glanville, attivista per i diritti umani e direttore dell’Index of Censorship, un magazine dedicato alla libertà di espressione nel mondo che ha anche indirizzato una lettera aperta a Theresa May.

Il commento più caustico è arrivato però da Erich Schmidt, presidente esecutivo di Google, che riferendosi all’idea di Cameron di chiudere temporaneamente i social media ha dichiarato: “È un errore guardare nello specchio e cercare di romperlo. Quale che sia il problema che ha causato gli atti di teppismo, internet è il riflesso di quel problema. Semmai bisogna usare la Rete per capire di che si tratta”. Del resto, c’è anche chi si è organizzato proprio su internet per contrastare i riots, identificando i responsabili o per ripulire le città.

Il governo sembra dunque aver adottato un approccio più morbido, anche se non mancano le zone d’ombra. RIM ha concordato con la polizia britannica di fornire alcune informazioni contenute nel suo network BlackBerry Messenger in determinate circostanze. E non esclude per il futuro un accesso più immediato alla sua rete da parte delle forze dell’ordine. Non sarebbe la prima volta: già in India e in Arabia Saudita la società canadese ha permesso un parziale monitoraggio dei messaggi degli utenti.

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