La vicenda della falsa blogger siriana fa infuriare i paladini dei diritti dei gay, che non accettano le scuse di Tom MacMaster. E gli rispondono per le rime accusandolo di razzismo, colonialismo e di avere fornito un aiuto ad Assad
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Si è scusato, due volte, ha detto che non voleva fare del male a nessuno e che, in fondo, ha agito con le migliori intenzioni: far sentire la voce e la passione di un'attivista siriana. Ma a loro, agli attivisti veri, queste parole non bastano. Perché il caso sarà pure chiuso ma le conseguenze negative sono ancora tutte aperte e dunque le scuse di Tom MacMaster, il quarantenne americano che si è inventato la storia di Amina Abdallah Araff le rimandano prontamente al mittente. Corredate di spiegazioni su quanto il gesto ha rivelato insensibilità, razzismo e, infine, creato problemi alla causa dei militanti per i diritti omosessuali nel Medio oriente e dei dissidenti online.
Tra i primi a far notare all'autore dell'imbroglio l'incredibile distanza tra intenzioni e conseguenze è stato Sami Hamwi dalle pagine di GayMiddleEast, sito dedicato alla comunità gay mediorientale. “Quello che hai fatto – ha scritto - ha danneggiato molti, messo in pericolo tutti noi e ci ha fatto preoccupare per il nostro attivismo LGBT. Aggiungici che può avere causato dubbi sull'autenticità dei nostri blog e delle nostre storie”.
Egualmente duro Daniel Nassar che, scrivendo sullo stesso spazio online, ricorda all'autore di A Gay Girl in Damascus che nel suo primo messaggio di scuse ha affermato di “non aver fatto del male a nessuno”: “Per colpa tua, signor MacMaster, molti attivisti reali della comunità LGBT sono finiti sotto il radar della autorità siriane. Questi attivisti, tra cui il sottoscritto, hanno dovuto cambiare molto nei loro atteggiamenti e nelle loro vite per proteggersi dal danno di posizione che la tua piccola prodezza ha provocato”.
Ma non è solo il rischio creato per chi lotta per la libertà in stati autoritari a fare infuriare militanti arabi e gay. La stessa decisione di un uomo occidentale di impersonare una donna araba e per giunta omosessuale e parlare in sua vece dimostra, secondo alcuni, un razzismo difficile da digerire. Tanto più se, come affermano per esempio Ali Abbas e Assia Boundaoui, rafforza i pregiudizi dei media. “[Amina] è una fantasia occidentale – scrivono su Kabobfest – pensata per stimolare le sensibilità occidentali […]. Dal momento che l'avatar in questione è una donna gay, i media internazionali sono stati rapidi nel bersi la storia, perché confermava le loro nozioni e i loro desideri su come le persone LGBT e le donne vivono in Medio Oriente. […] Il cyber-fantasma è stato accolto così benevolmente dai media e dai lettori perché era il simbolo di tutti gli stereotipi che gli occidentali usano per mettersi nella posizione di interpreti superiori della società e della cultura mediorientale”.
Uno spettro digitale, quello creato dalla fantasia di MacMaster, che appartiene fra l'altro, secondo un altro commentatore, ad una ricca e non gloriosa tradizione. Per il blogger Angry Arab, pseudonimo di un professore universitario libanese-americano celebre per le posizioni radicali e il linguaggio senza peli sulla lingua, Amina entra a pieno diritto nella storia delle rappresentazioni coloniali dell'altro. “La mentalità che sta dietro la creazione di questa identità – spiega "l'arabo arrabbiato" - è la stessa che circolava nell'era coloniale. I nativi non posso parlare per se stessi: devono essere rappresentati dall'Uomo Bianco che può spiegarli meglio all'Occidente”.
Infine, dalla prospettiva di un occidentale che lavora per superare barriere linguistiche e culturali, c'è il danno che l'autore di Amina ha creato a tutti i dissidenti online del mondo, quelli che hanno bisogno dell'anonimato per condurre la propria attività. “MacMaster ha reso più difficile la vita per le persone che hanno bisogno di scrivere sotto identità costruite apposta e vogliono però essere prese sul serio”, gli ha rinfacciato Ethan Zuckerman, tra i fondatori di Global Voices, sito che traduce in varie lingue i contributi dei blogger di tutto il mondo e ha sperimentato da vicino il bisogno di riservatezza dei dissidenti in Paesi repressivi. “Nel corso degli anni, più di un autore di Global Voices ha pubblicato sotto pseudonimo. In generale, siamo stati in grado di incontrare queste persone nella vita reale e verificare le loro identità. In alcuni casi, abbiamo proposto scritti di persone che inizialmente non eravamo stati in grado di verificare [...]”.
Grazie al gesto sconsiderato e patologico di MacMaster sarà ora meno agevole dare voce a tutte quelle persone che hanno storie interessanti da raccontare ma, per timore della propria vita, non possono presentarsi su Facebook con nome, cognome e foto.
La vicenda di Amina raccontata in 3D
La storia dello smascheramento di Amina si può ripercorrere anche grazie a Storify, uno strumento che permette di ricostruire le reazioni dei vari social media a determinati eventi. In questo caso la ricostruzione di come è stato scoperto l'imbroglio di Amina è realizzata da Andy Carvin, il reporter che ha dato il via all'indagine.
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Ma non è solo il rischio creato per chi lotta per la libertà in stati autoritari a fare infuriare militanti arabi e gay. La stessa decisione di un uomo occidentale di impersonare una donna araba e per giunta omosessuale e parlare in sua vece dimostra, secondo alcuni, un razzismo difficile da digerire. Tanto più se, come affermano per esempio Ali Abbas e Assia Boundaoui, rafforza i pregiudizi dei media. “[Amina] è una fantasia occidentale – scrivono su Kabobfest – pensata per stimolare le sensibilità occidentali […]. Dal momento che l'avatar in questione è una donna gay, i media internazionali sono stati rapidi nel bersi la storia, perché confermava le loro nozioni e i loro desideri su come le persone LGBT e le donne vivono in Medio Oriente. […] Il cyber-fantasma è stato accolto così benevolmente dai media e dai lettori perché era il simbolo di tutti gli stereotipi che gli occidentali usano per mettersi nella posizione di interpreti superiori della società e della cultura mediorientale”.
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Infine, dalla prospettiva di un occidentale che lavora per superare barriere linguistiche e culturali, c'è il danno che l'autore di Amina ha creato a tutti i dissidenti online del mondo, quelli che hanno bisogno dell'anonimato per condurre la propria attività. “MacMaster ha reso più difficile la vita per le persone che hanno bisogno di scrivere sotto identità costruite apposta e vogliono però essere prese sul serio”, gli ha rinfacciato Ethan Zuckerman, tra i fondatori di Global Voices, sito che traduce in varie lingue i contributi dei blogger di tutto il mondo e ha sperimentato da vicino il bisogno di riservatezza dei dissidenti in Paesi repressivi. “Nel corso degli anni, più di un autore di Global Voices ha pubblicato sotto pseudonimo. In generale, siamo stati in grado di incontrare queste persone nella vita reale e verificare le loro identità. In alcuni casi, abbiamo proposto scritti di persone che inizialmente non eravamo stati in grado di verificare [...]”.
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La vicenda di Amina raccontata in 3D
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