
Il Centro di ricerca Innocenti dell'Unicef ha chiesto a ragazzi di vari Paesi di valutare le condizioni di vivibilità dei loro quartieri. Responso? Tutti vorrebbero avere più peso nelle decisioni e più spazio per giocare. E gli europei si sentono sicuri
di Valeria Valeriano
I bambini dominicani chiedono l’accesso all’acqua. Quelli giordani vorrebbero strade più sicure. I piccoli sudanesi si preoccupano soprattutto delle mine. Italiani, francesi e spagnoli sognano più spazi verdi per giocare. È quanto emerge da un’indagine condotta dal Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef insieme a Childwatch international, al Children’s environment research group (Cerg) della City University di New York e alla Bernard Van Leer Foundation. La ricerca ha coinvolto trentuno comunità di nove Paesi del mondo: Italia, Francia, Spagna, Marocco, Giordania, Sudan, Filippine, Brasile e Repubblica Dominicana. Avere più peso nelle decisioni, soprattutto a scuola e a casa, è la richiesta comune avanzata da tutti i bambini. In particolare da quelli dei Paesi europei.
Italiani, francesi e spagnoli vorrebbero essere più partecipi, non essere considerati soggetti passivi. Altro dato importante è che i bambini del vecchio continente non hanno così paura. La richiesta di maggior sicurezza e protezione, infatti, arriva dopo quelle di più spazi per giocare, accessibili anche ai disabili, di più aree verdi e di più pulizia per strada. In Italia la valutazione ha interessato due quartieri di Firenze e altrettanti di San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli. I risultati mostrano realtà abbastanza simili e in linea con l’Europa. I nostri piccoli connazionali piazzano tra le priorità una maggiore comunicazione con gli adulti e un miglioramento delle condizioni ambientali.
Obiettivo di questo studio del Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef è quello di aiutare le città a diventare “amiche dei bambini”. Per migliorare le condizioni di vita dei più piccoli, è l’idea di fondo, il primo passo è valutare criticamente quanto i diritti dell’infanzia siano rispettati nei vari quartieri. Per farlo sono stati coinvolti genitori, amministrazioni comunali, fornitori di servizi e soprattutto loro, i bambini. “Per la prima volta sono stati interpellati anche i ragazzi dai 6 ai 18 anni – spiega Dora Giusti, coordinatrice della ricerca per il Segretariato internazionale delle Città amiche dell’Infanzia che ha sede a Firenze – attraverso questo progetto abbiamo fornito metodi e strumenti, adattabili al contesto e alle fasce d’età, per auto-valutare il grado di amicizia verso i bambini”.
“Abbiamo scelto di prendere in considerazione non intere città, ma quartieri o comunità piccole – prosegue Dora Giusti – perché sono queste le realtà che i bambini conoscono e possono giudicare”. In tutto sono state coinvolte circa tremila persone. Una grande raccolta di dati per prendere coscienza dei diritti dell’infanzia e per individuare i campi d’intervento. “Infatti si tratta di una «ricerca-azione» – sottolinea Dora Giusti, che è anche specialista protezione dell’infanzia del Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef – il nostro scopo è che, dopo aver raccolto ed elaborato i risultati, vengano sviluppati dei piani d’azione concreti”. Come sta accadendo nelle Filippine. Dove il consiglio di quartiere della Barangay 156 (Pasay City, Manila) si è impegnato a promuovere la pulizia e la sicurezza della comunità e ad ascoltare i pareri dei più piccoli creando un consiglio di ragazzi.
Le priorità indicate dagli intervistati sono diverse. A Dajabon, ad esempio, al confine tra Repubblica Dominicana e Haiti, i bambini chiedono l’accesso all’acqua, materiali educativi migliori, l’uguaglianza e la messa al bando del castigo corporale a scuola. Ad Amman, capitale della Giordania, i più piccoli vogliono sicurezza e protezione dal traffico e dalla violenza per le strade. Le bambine, in particolare, desiderano potersi muovere liberamente.
La ricerca è stata presentata durante la conferenza “Child in the City – Il Bambino nelle città 2010” che si è tenuta dal 27 al 29 ottobre al Palazzo dei Congressi di Firenze. Ogni due anni, dal 2002, l’appuntamento riunisce le realtà urbane già “amiche dei bambini” e i rappresentanti di città che ambiscono a diventare tali. L’idea di sviluppare una metodologia per giudicare le condizioni di vita dei più piccoli è arrivata proprio durante la scorsa edizione della conferenza. “Era il 2008 ed eravamo a Rotterdam – racconta Dora Giusti –. Ci siamo resi conto che mancavano degli strumenti di valutazione. La ricerca è nata lì. Questi sono solo i risultati preliminari, per l’anno prossimo è prevista la pubblicazione completa”.
La valutazione del grado di amicizia delle comunità verso i bambini si basa sulla Convenzione sui diritti dell’infanzia. Gli indicatori riguardano sei aspetti centrali della vita dei ragazzi: casa/ambiente familiare, servizi socio-sanitari, sicurezza e protezione, scuola, gioco e ricreazione, vita comunitaria. Qual è risultata la città più attenta ai piccoli? “Ci avevano chiesto di fare una classifica – risponde Dora Giusti – ma noi non abbiamo accettato. Abbiamo analizzato contesti troppo diversi fra loro, ognuno con punti forti e deboli. Il nostro scopo non è confrontare le situazioni ma migliorarle”. Per il bene dei bambini.
I bambini dominicani chiedono l’accesso all’acqua. Quelli giordani vorrebbero strade più sicure. I piccoli sudanesi si preoccupano soprattutto delle mine. Italiani, francesi e spagnoli sognano più spazi verdi per giocare. È quanto emerge da un’indagine condotta dal Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef insieme a Childwatch international, al Children’s environment research group (Cerg) della City University di New York e alla Bernard Van Leer Foundation. La ricerca ha coinvolto trentuno comunità di nove Paesi del mondo: Italia, Francia, Spagna, Marocco, Giordania, Sudan, Filippine, Brasile e Repubblica Dominicana. Avere più peso nelle decisioni, soprattutto a scuola e a casa, è la richiesta comune avanzata da tutti i bambini. In particolare da quelli dei Paesi europei.
Italiani, francesi e spagnoli vorrebbero essere più partecipi, non essere considerati soggetti passivi. Altro dato importante è che i bambini del vecchio continente non hanno così paura. La richiesta di maggior sicurezza e protezione, infatti, arriva dopo quelle di più spazi per giocare, accessibili anche ai disabili, di più aree verdi e di più pulizia per strada. In Italia la valutazione ha interessato due quartieri di Firenze e altrettanti di San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli. I risultati mostrano realtà abbastanza simili e in linea con l’Europa. I nostri piccoli connazionali piazzano tra le priorità una maggiore comunicazione con gli adulti e un miglioramento delle condizioni ambientali.
Obiettivo di questo studio del Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef è quello di aiutare le città a diventare “amiche dei bambini”. Per migliorare le condizioni di vita dei più piccoli, è l’idea di fondo, il primo passo è valutare criticamente quanto i diritti dell’infanzia siano rispettati nei vari quartieri. Per farlo sono stati coinvolti genitori, amministrazioni comunali, fornitori di servizi e soprattutto loro, i bambini. “Per la prima volta sono stati interpellati anche i ragazzi dai 6 ai 18 anni – spiega Dora Giusti, coordinatrice della ricerca per il Segretariato internazionale delle Città amiche dell’Infanzia che ha sede a Firenze – attraverso questo progetto abbiamo fornito metodi e strumenti, adattabili al contesto e alle fasce d’età, per auto-valutare il grado di amicizia verso i bambini”.
“Abbiamo scelto di prendere in considerazione non intere città, ma quartieri o comunità piccole – prosegue Dora Giusti – perché sono queste le realtà che i bambini conoscono e possono giudicare”. In tutto sono state coinvolte circa tremila persone. Una grande raccolta di dati per prendere coscienza dei diritti dell’infanzia e per individuare i campi d’intervento. “Infatti si tratta di una «ricerca-azione» – sottolinea Dora Giusti, che è anche specialista protezione dell’infanzia del Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef – il nostro scopo è che, dopo aver raccolto ed elaborato i risultati, vengano sviluppati dei piani d’azione concreti”. Come sta accadendo nelle Filippine. Dove il consiglio di quartiere della Barangay 156 (Pasay City, Manila) si è impegnato a promuovere la pulizia e la sicurezza della comunità e ad ascoltare i pareri dei più piccoli creando un consiglio di ragazzi.
Le priorità indicate dagli intervistati sono diverse. A Dajabon, ad esempio, al confine tra Repubblica Dominicana e Haiti, i bambini chiedono l’accesso all’acqua, materiali educativi migliori, l’uguaglianza e la messa al bando del castigo corporale a scuola. Ad Amman, capitale della Giordania, i più piccoli vogliono sicurezza e protezione dal traffico e dalla violenza per le strade. Le bambine, in particolare, desiderano potersi muovere liberamente.
La ricerca è stata presentata durante la conferenza “Child in the City – Il Bambino nelle città 2010” che si è tenuta dal 27 al 29 ottobre al Palazzo dei Congressi di Firenze. Ogni due anni, dal 2002, l’appuntamento riunisce le realtà urbane già “amiche dei bambini” e i rappresentanti di città che ambiscono a diventare tali. L’idea di sviluppare una metodologia per giudicare le condizioni di vita dei più piccoli è arrivata proprio durante la scorsa edizione della conferenza. “Era il 2008 ed eravamo a Rotterdam – racconta Dora Giusti –. Ci siamo resi conto che mancavano degli strumenti di valutazione. La ricerca è nata lì. Questi sono solo i risultati preliminari, per l’anno prossimo è prevista la pubblicazione completa”.
La valutazione del grado di amicizia delle comunità verso i bambini si basa sulla Convenzione sui diritti dell’infanzia. Gli indicatori riguardano sei aspetti centrali della vita dei ragazzi: casa/ambiente familiare, servizi socio-sanitari, sicurezza e protezione, scuola, gioco e ricreazione, vita comunitaria. Qual è risultata la città più attenta ai piccoli? “Ci avevano chiesto di fare una classifica – risponde Dora Giusti – ma noi non abbiamo accettato. Abbiamo analizzato contesti troppo diversi fra loro, ognuno con punti forti e deboli. Il nostro scopo non è confrontare le situazioni ma migliorarle”. Per il bene dei bambini.